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Trento, 10 giugno 2014
Il Mose non È MosÈ
Per salvare Venezia non basta il nome

di Sandro Boato, ex consigliere regionale dei Verdi in Trentino-Alto Adige
dal Trentino di sabato 7 giugno 2014 e
da il Gazzettino di Venezia di martedì 10 giugno 2014

Il successo del Pd di Renzi è forse un segno di speranza, ma pure di paura, non soltanto della forza disorientata del Movimento 5 Stelle, ma anche della precarietà e inaffidabilità del mondo politico e imprenditoriale. Questa situazione precipitata dopo il ventennio horribilis (1993/2013) per la sua eredità di populismo egoista, di illegalità diffusa, di rovesciamento di valori come l’onestà pubblica e privata, la giustizia civile e la responsabilità sociale. Lo scandalo del Mose nella laguna di Venezia vede coinvolte nell’inchiesta un centinaio di persone che nella gravità delle incriminazioni sembrano accomunate da una pestilenza attraente: la fame di danaro. È malattia dell’Italia dunque la corruzione dilagante che tanta gente accetta o finge di non vedere?

C’è una larga fascia sociale connessa con operazioni un tempo considerate sporche e che oggi appaiono normali. In realtà saranno pagate dalle generazioni a venire, dai nostri figli e nipoti una parte dei quali già fugge in cerca di quello che gli Orsoni, le Sartori e i Galan stanno sottraendo loro. Nel dibattito esploso sul caso apparentemente nuovo, ma in realtà prevedibile da qualche anno, manca però qualcosa di essenziale che cerco di sintetizzare.

Prima che il Mose fosse imposto dall’alto furono presentate in un convegno a Venezia due alternative che avrebbero dovuto essere prese ufficialmente in esame ma che i mass media ignorarono. Erano proposte per non allargare ulteriormente le tre bocche di porto (come invece fa il Mose paradossalmente), per usare materiali sperimentati in altri porti italiani ed europei caratterizzati da leggerezza, elasticità, rapidità esecutiva, per il contenimento dei costi del modello progettato e della sua manutenzione (pesantissima questa nel Mose). Il suo difetto stava nel costo irrisorio: il 10 per cento del Mose, troppo poco per poter rubare molto.
La recente vertenza sulle grandi navi nel cuore della città e della laguna ha qualche interferenza con il Mose. Da una parte c’è la previsione –  con l’innalzamento del livello marino e quindi con frequenti acque alte – di dover lasciare chiusa la laguna per un tempo incompatibile con l’ossigenazione dell’ecosistema, la necessità di ricambio delle acque inquinate e il funzionamento del porto.

Dall’altra i mostruosi condomini navali pretendono di poter entrare e uscire liberamente anche quando le bocche di porto saranno chiuse, con enormi conche ad hoc.

Alcuni personaggi ora inquisiti e altri del giro (legati al Consorzio Venezia Nuova, responsabile primo dei lavori e dei conti) stavano ipotizzando un secondo taglio lagunare per le grandi navi, oltre al micidiale Canale dei Petroli che ha sconvolto la laguna centro-meridionale, ecologicamente un tutt’uno con la città storica.

Come nel convegno per l’alternativa al Mose, così ora la medesima équipe di professori e tecnici ambientalisti ha già consegnato agli organi di salvaguardia e al ministero competente il progetto di avamporto-terminal passeggeri sul mare a ridosso esternamente dello stesso Mose, per far sostare le grandi crociere a Venezia senza compromettere ancor più la laguna. Verrà ignorato anche questo?

Parliamo d’Europa e si rimane sgomenti dal nostro precipitare in quello che con sufficienza chiamavamo “terzo mondo”. Parliamo d’ambiente (la giornata mondiale si è celebrata lo scorso 5 giugno) e non riusciamo ancora a considerare noi umani come parte e non dominio del cosmo. Nell’attuale rovesciamento dei valori il Mose è sempre più lontano da quel Mosè che significava emblematicamente la salvezza dalle acque. Non basta il nome.

Sandro Boato

 

      

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