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Trento, 12 gennaio 2018
A PROPOSITO DEL ‘68
PUP E AMBIENTE PRIMA E DOPO L’APPROVAZIONE
di Sandro Boato
dal Trentino di venerdì 12 gennaio 2018

Il Piano urbanistico del Trentino, approvato nel 1967 e pubblicato nel 1968 è “un grande libro-manuale” -  secondo Giovanni Astengo, urbanista dello IUAV - di analisi sociale e demografica, edilizia e territoriale, paesaggistica e forestale, orientato a un riscatto economico e culturale voluto e diretto dal presidente della Provincia di Trento, Bruno Kessler, e dall’economista Nino Andreatta, futuro ministro, rispetto a un passato di povertà, emarginazione ed emigrazione.

Fotografia di una realtà in trasformazione, di una scelta politica lungimirante affiancata dalla promozione dell’Università di Trento. Il linguaggio del libro, si direbbe qui il messaggio, può sfiorare la “utopia tecnicamente fondata” – secondo lo stesso Andreatta, che richiese la radicale sintesi dei testi e della vasta documentazione a me e al suo assistente di allora Romano Prodi. Fu una correzione delle bozze impietosa ma bene accolta.

Riletto a distanza questo “manifesto dell’ottimismo” suona come un atto di fede nello sviluppo, soprattutto turistico e industriale, che si proponeva ben cinque aeroporti (a Malé, a Fondo, a Predazzo, a Riva, a Trento). Una ingenuità che provocò una allegra risata al Salzburg Seminar – Urban Planning, proprio nel 1968, durante una discussione sul Piano urbanistico del Trentino (Pup nell’uso corrente) e sul contesto geografico alpino.

Sui partecipanti al seminario-convegno internazionale aveva suscitato forte interesse la proposta del comprensorio sub-regionale, l’ipotesi dei parchi naturali, il nesso tra rinnovamento e conservazione. Quel giorno presiedeva John Dyckman, illustre sociologo dell’Università di California, che volle confidare l’essere suo figlio in carcere per diserzione, ovvero per il rifiuto della guerra in Vietnam.

Un piccolo segnale di ciò che verrà riconosciuto come “lo spirito del Sessantotto”, già attraverso due continenti: da San Francisco a Salisburgo a Trento…

A Trento, dopo una partenza motivata e decisa sul piano politico e un intenso lavoro di équipe (1961/63) multidisciplinare e settoriale, finalizzato a un disegno unitario, subentrava un clima d’attesa e forse di incertezza sui tempi del raccolto.

Entravano in gioco nuovi fattori: organizzativi, burocratici, giuridici. Sarà la grande alluvione del novembre 1966 a dare la sveglia a tutti. Dal presidente Kessler, intervenuto immediatamente al soccorso nelle valli del Primiero, allo studio dell’architetto Giovanazzi, per salvare o rifare la preziosa cartografia del Pup, all’adeguamento della normativa urbanistica provinciale guidato dal giurista Giambosco Janes, al tirare infine i remi in barca di studi e inchieste settoriali (agricoltura, industria e artigianato, demografia, turismo, commercio, salute, scuola) del coordinatore Giampaolo Andreatta.

Da questo fecondo marasma progettuale usciva il problema del rapporto del Piano provinciale con la città capoluogo.

Malgovernata questa e con uno pseudo piano regolatore: toccò a me -su invito degli architetti Alberto Agostini e Sergio Giovanazzi (allora consiglieri comunali del Psi e della Dc, membri della maggioranza) - di adeguarlo, ovvero di rifarlo quasi, essendo privo di aree di servizio pubblico, di verde di quartiere, di tutela del centro storico, perfino di una rete stradale razionale.

Come per la vertenza universitaria, con ben altri caratteri ovviamente, l’anno 1967 rappresentò un momento chiave per l’affermarsi del progetto urbanistico, un ante litteram esemplare di una sempre attesa riforma urbanistica nazionale, votato alla unanimità dal Consiglio della Provincia autonoma.

Giuseppe Samonà, architetto e urbanista molto attivo, direttore dello IUAV, fu suggerito a Kessler dall’economista Andreatta, come responsabile del primo Piano provinciale. Per anni dedicò i fine-settimana a girare il Trentino con i giovani collaboratori Sergio Giovanazzi, Sandro Boato e Renzo Moro, a disegnare e a discutere con tutti (in particolare i numerosissimi sindaci), a scegliere nelle incertezze, pur trovandosi molto preso pure dalla ricostruzione di Longarone dopo la strage del Vaiont (1963).

Egli rispose tempestivamente alla chiamata finale del suo Pup e in una memorabile tenzone con Plinio Marconi, consulente del Comune per il Piano regolatore, sui contenuti e sul metodo dell’urbanistica, mostrò l’inconsistenza di una gestione ridotta alla licenza edilizia con l’irresponsabile previsione di una città che allora ospitava poco più di 60.000 persone, di raddoppiarla a 120.000 con una espansione a macchia d’olio, priva di orizzonte temporale, senza regole e senza impegno compositivo.

Esempio unico purtroppo questo del Trentino rispetto al quadro legislativo nazionale, ancora mancante delle quindici Regioni a statuto ordinario (fino al 1970) e con un ceto politico e professionale pronto a difendersi da qualunque riforma urbanistica.

Nel fatidico Sessantotto a Trento qualche iniziativa culturale marginale – e la stessa presentazione del Pup - veniva soverchiata dall’esplosione del Movimento universitario e poi anche studentesco medio, che polarizzava e spezzava una opinione pubblica solo parzialmente avversa, in cui era già nato il germe della convivenza.

Dopo l’affermazione giuridica e politica del Piano fino al 1972 lavorò a lungo una commissione sui parchi naturali provinciali e successivamente sul parco nazionale dello Stelvio, arricchita da qualche ulteriore apporto esterno all’équipe del Pup. Uno speciale apporto progettuale naturalistico venne dall’architetto paesaggista belga George Gijssels e dall’ecologo forestale Attilio Arrighetti.

La proposta ultima della commissione fu una traccia definita di articolazione delle riserve naturali, la viabilità strettamente necessaria, la normativa conseguente. Il tutto da verificare ed integrare all’inizio del lavoro di avvio.

Invece niente si mosse più, quasi improvvisamente. La regia di Kessler era finita, il suo spostamento alla Regione sarà il primo passo, imposto dalla stessa Dc verso il suo esautoramento.

Seguirà, per quanto concerne l’urbanistica e ancor più i tre parchi, la passivizzazione di ritorno dell’apparato pubblico e insieme la inaudita fuga dal settore di ben cinque assessori nel giro di due/tre anni. La pianificazione si ridurrà a una rituale burocratica tutela del paesaggio fino al 1986 quando la strage colpevole di Stava provocò uno shock e un cambiamento politico positivo con la responsabilizzazione di Walter Micheli su urbanistica e ambiente.

Ci si rese conto allora che il buongoverno, assentatosi ufficialmente dopo la prova del Sessantotto, era trapelato e cresciuto nelle maglie della società civile, da una minoranza attiva e generosa di associazioni ambientaliste, dal movimento verde e da un volontariato dalle più varie origini e spesso privo di connotazioni politiche o religiose esplicite.

Sandro Boato

 

      
   

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