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Trento, 31 ottobre 2006
NON SIAMO CASSANDRE
di Sandro Boato
da l’Adige di martedì 31 ottobre 2006

Per anni - almeno dal protocollo di Kyoto del 1997, con la richiesta a tutti i paesi del mondo di ridurre le emissioni inquinanti ed in particolare l’anidride carbonica - verdi e ambientalisti hanno avuto un ruolo di Cassandre e la nomea di catastrofisti nel dare l’allarme sul pericolo di superare i limiti dell’equilibrio ecologico del pianeta a causa del surriscaldamento climatico e sulle conseguenze dell’aumento della temperatura: lo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzarsi del livello marino, l’inquinamento crescente dell’aria, la scomparsa di specie animali e di essenze vegetali, la desertificazione che avanza da un lato e le alluvioni e gli uragani più frequenti e distruttivi dall’altro.

Sembravano parole al vento con ogni tanto una informativa sul mancato raggiungimento della maggioranza dei paesi propensi a seguire la via indicata da Kyoto.

L’Italia del governo Berlusconi era troppo povera per permettersi un’adesione così costosa per la nostra industria. Nel 2001 san Gennaro faceva la grazia alle maggioranze neo-con: l’undici settembre un attacco terrorista suicida di Al Qaéda, alle torri gemelle a New York ed al Pentagono a Washington, uccide oltre tremila persone, fungendo da movente per la seconda guerra irachena e «cancellando» la già trascurata emergenza ambientale senza residuali sensi di colpa.

All’inizio del nuovo millennio l’America di Bush allarga le trivellazioni alla Artic National Wildlife Refuge (massima risorsa naturalistica dell’Alaska) e rifiuta l’impegno anti-inquinamento ed il protocollo di Kyoto inviso anche all’industria americana.

D’altra parte il governo cinese, che ha fatto il nobile gesto di portare in maggioranza lo schieramento pro-Kyoto, sta concludendo nello stesso tempo la realizzazione della diga più grande, controversa e sconcertante del mondo sul fiume Yangtzè, e sta provocando (e insieme subendo) le megalopoli più popolose e inquinate: Chongqing conta trenta milioni di abitanti, Pechino, Shangai, Canton e Shenzhen vanno verso i venti milioni ciascuna. L’ambientalismo politico è come paralizzato da una umanità che sembra ignorare lo stato del pianeta e temere che se ne parli, quasi si fosse sommersi tutti dal terrorismo in prima pagina. Sta però avvenendo un fenomeno paradossale: da circa un anno le ragioni ignorate del movimento-Cassandra vengono risollevate, accentuate e pubblicizzate da ricercatori professionali, da scienziati insospettabili, da riviste scientifiche blasonate, da convegni non rituali, perfino da responsabili di istituzioni governative - che evidenziano senza mezzi termini e con dati attuali lo stato preagonico della terra, dell’aria e delle acque, della fauna e della flora, e prevedono spesso la catastrofe vicina.

Il messaggio comune a questo «postgreen movement» è che la deriva climatica non solo esiste, ma è responsabilità umana e non è arrestabile, se non forse con una riduzione dei gas-serra ben superiore a quella proposta dal protocollo di Kyoto e che intervenga da subito, perché «ci resta poco tempo» - come afferma sul britannico Indipendent e sul New York Times James Hansen, massimo climatologo della Nasa (l’Agenzia aereo-spaziale americana), in polemica aperta con Bush.

Si vorrebbe dunque che la intellighenzia culturale e politica italiana (quella trentina compresa), al di là delle differenze di ispirazione storica e di collocazione politica, fosse consapevole della gravità dell’emergenza ambientale e della responsabilità che pesa sulle istituzioni, che rischiano anch’esse di non sopravvivere alla possibile furia dell’uragano natura. Una positiva novità è che l’Italia, dopo aver nicchiato per cinque anni, restando di fatto col partito degli inquinatori, per un ultimatum di Bruxelles s’è impegnata a ridurre le emissioni industriali del 10 percento, essendo l’obiettivo per il nostro paese il 75 percento, raggiungibile mediante aumento di efficienza energetica e ricorso a fonti rinnovabili.

Sandro Boato
esponente dei Verdi del Trentino
 

      

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