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Pergine Valsugana, 20 settembre 2004 E’ proprio vero che, per chi le sa cogliere, a volte sono le piccole cose a darci la dimensione dei grandi cambiamenti, delle profonde svolte culturali, sociali, economiche e politiche che sempre più in fretta coinvolgono la nostra società e noi stessi, quali suoi protagonisti. Una di queste piccole cose è la cosiddetta “reclame”, alla francese, come la chiamavano i nostri nonni; ossia quei foglietti pubblicitari (ma ormai anche pieghevoli, libretti se non cataloghi interi) che costantemente arrivano nelle nostre bussole casalinghe. L’abbiamo sempre sopportata, con un po’ di disprezzo ma tutto sommato senza particolari fastidi, soprattutto se fatta correttamente (evitando di scaricare decine di volantini sull’ingresso di casa) da quei ragazzi che si guadagnavano due soldi chiedendo di aprire per mettere giù “pubblicità”. Ma ormai da qualche anno il volume di queste comunicazioni è aumentato perché non ci sono solo gli addetti ai lavori (agenzie pubblicitarie con relativi incaricati con borsa o carretto apposito) a distribuire la notizia di impagabili offerte o di saldi straordinari. È il nostro amato postino a recapitarci (complice anche la privatizzazione del settore) con sistematicità e precisione, una notevole dose di carta, cartoncino, carta con cellophan, rigorosamente di stampo pubblicitario, senza destinatario e spesso senza mittente. Per chi butta tutto nell’immondizia senza curarsi di differenziare o per chi addirittura vive di queste notizie commerciali il problema non sussiste. Per molti altri il problema non è poi così grande, si tratta in fondo di qualche po’ di carta in più. Per chi invece crede nella raccolta differenziata e nella sua necessaria e indispensabile premessa, cioè la riduzione del rifiuto, questa prassi delle Poste italiane ha dato adito a qualche interrogativo. Se infatti è comprensibile che qualche azienda abbia stipulato un contratto con le Poste per far conoscere i suoi prodotti, risulta molto meno chiaro perché un cittadino non possa rifiutare questo tipo di comunicazioni comunicando semplicemente alle Poste la sua indisponibilità visto che gli viene recapitato qualcosa che non ha richiesto, non gli interessa e per giunta deve smaltire come rifiuto. Invece anche a Pergine, nella migliore tradizione italiana, si sta consumando un piccolo rito burocratico. Dopo i primi dinieghi (“non si può fare”, “siamo obbligati”, “non siamo noi a decidere”) posti alle puntuali osservazioni di un cittadino (rivoltosi poi al difensore civico) la questione è stata rilanciata da una associazione perginese che ha finalmente ottenuto dalle Poste la predisposizione di un modulo per chiedere l’esenzione dalla consegna di materiale privo di indirizzo. Ma, sempre nel solco della tradizione, il modulo riporta anche tre righe che qualche cittadino ha subito giudicato “un ricatto”. Chi lo presenta infatti deve dichiararsi consapevole di rifiutare in questo modo non solo pubblicazioni di tipo commerciale ed elettorale ma anche eventuali comunicazioni di pubblica utilità e di informazione pubblica. Il che vuole dire che quegli avvisi indirizzati a “tutte le famiglie”, o a “tutti i residenti” e provenienti ad es. dal Comune, dall’AMNU piuttosto che dalla Provincia (a qualcuno per questo motivo non è giunto il famoso opuscolo sulle nuove tariffe dei trasporti per gli alunni) potrebbero non essere più recapitati. Non male per un servizio pubblico. Certo, si dirà, ci son ben cose più importanti al mondo. Però questi sono segnali importanti che ci dicono ad esempio come siano contraddittorie le politiche dei servizi pubblici quando non sono coordinate (da una parte si chiede ai cittadini la raccolta differenziata, dall’altra si spedisce una quantità infinita di carta non richiesta), di come sia estremamente facile aumentare le distanze tra i cittadini e gli enti che dovrebbero esser a servizio della comunità (da una parte c’è un servizio pubblico, dall’altra cittadini a cui non vengono recapitati avvisi di pubblica utilità) ma soprattutto. cosa comporti un certo modo di privatizzare i servizi di interesse collettivo. Sono questi i segnali di quei grandi cambiamenti di cui si diceva in apertura. E su questi sintomi, prima che diventino fenomeni ingovernabili e prassi consolidate e inattaccabili, è necessario intervenire e farsi sentire. In modo costruttivo e corretto, non per il gusto della polemica o della contestazione: ma è una questione di dignità e sopravvivenza. È bene infatti ricordare ciò che in futuro potrà succedere per molti altri ambiti (acqua, gas, energia elettrica, comunicazione e informazione, …) dove per via delle già citate privatizzazioni, di accordi commerciali internazionali (i famigerati GATS), di necessità economiche o scelte di mercato, il cittadino/cliente sarà solo ed esclusivamente un numero, quindi senza diritto di replica né di proposta. E quando saremo diventati tutti dei numeri, sarà troppo tardi. Roberto Calzà
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