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Trento, 8 luglio 2015
I TANTI PONTI (DIMENTICATI) DI LANGER
di Alberto Faustini
dal Trentino di mercoledì 8 luglio 2015

Langer in questi giorni è tornato a vivere: fra le pagine, in convegni, in libri, in pensieri. Ma ha ragione Chiara Torresani: Langer ha lasciato un’eredità, ma non eredi.

Molti dei ponti che lui ha cercato di costruire non sono mai nati: di qui l’attualità, che è paradossale e anche profondamente triste, delle sue battaglie.

La verità è che questa comunità fa ancora una gran fatica a fare i conti con la testimonianza politica e culturale di Langer, con il suo ricordo, con l’eco delle sue (scomode) battaglie.

Il 3 luglio del 1995 sembra lontanissimo.

E lontano, non solo per il pudore che ha chiuso le bocche e gli occhi di molti, è il fardello invisibile che lo portò a togliersi la vita. Una scelta nitida e insieme drammatica, la sua.

Un epilogo del quale si fatica sempre a parlare. Perché ha il sapore di una sconfitta dell’uomo che era politicamente invincibile proprio perché le sconfitte le cercava con puntiglio: per farne vittorie simboliche; per farci rovesciare lo sguardo; per spostare i nostri occhi dove non li adagia mai nessuno.

Due elementari (una italiana e una tedesca) ospitate in un’unica scuola intitolata a lui, in un esperimento finalmente e concretamente bilingue, a Bolzano, dimostrano che qualche passo (langeriano) fondamentale s’è fatto.

Ma ha ragione la vedova di Langer, Valeria Malcontenti: se Alex fosse ancora qui questa scuola non ci sarebbe. Perché Alex sarebbe ancora troppo avanti. Perché c’è poco spazio per chi riempie di originalità i pensieri. E perché una targa su un edificio costa gran poco, mentre costa tantissimo portare avanti idee che sono concretamente rivoluzionarie perché contengono tutta la forza di ciò che dovrebbe essere normale, ma che (in particolare qui) normale non è mai.

Mark Twain diceva che non esiste l’opinione pubblica, perché si tende sempre ad assecondare chi si ha davanti.

La politica di oggi, con questa spasmodica attenzione ad una pancia che è sin troppo lontana dal cervello, lo dimostra purtroppo quotidianamente.

Alexander Langer coltivava viceversa il gusto della minoranza, dell’opposizione, della diversità: perché solo in questo orto possono crescere la (vera) pianta dell’integrazione e il seme della tolleranza e della convivenza.

Vent’anni dopo, sembra ancora l’abitante di un altro pianeta.

È questa la verità.

Alberto Faustini

 

      
   

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