verdi del trentino
    archivio generale articoli, lettere, comunicati e interviste dalla stampa
ANNI:
  2021 - 22   2019 - 20 2017 - 18 2015 - 16 2013 - 14 2011 - 12 2009 - 10 2007 - 08 2005 - 06 2003 - 04 2000 - 02
torna a precedente    
   

 HOMEPAGE

  I VERDI
  DEL TRENTINO

  
  CHI SIAMO

  STATUTO

  REGISTRO CONTRIBUTI

  ORGANI E CARICHE

  ASSEMBLEE
  CONFERENZE STAMPA
  RIUNIONI


 ELETTI VERDI

  PROVINCIA DI TRENTO

  COMUNITÀ DI VALLE

  COMUNE DI TRENTO

  ALTRI COMUNI


 ELEZIONI

  STORICO DAL 2001


 ARCHIVIO

  ARTICOLI

  DOSSIER

  CONVEGNI

  INIZIATIVE VERDI

  PROPOSTE VERDI

  BIBLIOTECA

  GALLERIA FOTO

  

      

Trento, 26 agosto 2005
LA PACE TERRIFICANTE DELLA SLOI
di Alessandro Franceschini, pubblicato su l’Adige di giovedì 25 agosto 2005

A Trento c’è un luogo dove non esiste vita. La vita animale, s’intende. Fino a pochi mesi fa l’unica forma di esistenza non vegetale era quella degli outsiders – per scelta o per costrizione – dello spazio urbano: senza fissa dimora, famiglie di Rom, immigrati irregolari, tossicodipendenti, emarginati sociali. Ma da quando il luogo è stato sgomberato dalla polizia non un uomo, non un animale vive.

E’ la Sloi, la fabbrica di piombo tetraetile dimessa nel 1978 e situata a Nord di Trento. Uno dei terreni più inquinati d’Italia. Milleottocento quintali di piombo depositato in pochi metri cubi di terreno. Solo un tenue strato di argilla impermeabile separa il terreno inquinato dalla falda dell’acqua. Un punto senza vita nel cuore dell’asta dell’Adige. Un cancro che da un momento all’altro potrebbe portare la morte in tutta la vallata.

Mentre le piante crescono rigogliose tra le rovine della ex fabbrica, sui sentieri, fra i calcinacci, sulla terra, fra gli arbusti nulla si muove. Tutto tace, come se la creazione del buon Dio, qui, si fosse fermata al quarto giorno.

Incamminiamoci a passi brevi e incerti in questo mondo solo vegetale. Una robusta edera sta completamente ricoprendo la torre piezometrico della fabbrica. Sembra un vestito arrampicato addosso ad un fungo gigante, nucleare. Più a lato un edificio completamente diroccato. Il pavimento ricoperto d’immondizie clandestine. Nessun gatto selvatico ha rovistato in cerca di cibo.

Il reattore, situato a nord, sembra l’immagine di un disastro post-atomico. Il tempo ha scalfito il cemento lasciando emergere i tondini d’acciaio delle armature. Così vuota, nuda, svestita, questa carcassa ricorda un tempo ormai perduto. Nessun uccello ha pensato di farci il nido sopra. In cielo non volteggiano le rondini, a terra non tubano i colombi. Solo una pace sinistra.

Dove la fabbrica cede il posto al terreno le piante sono cresciute a dismisura. Alberi rigogliosi coprono ogni centimetro, come un mondo senza umani, come un pianeta che conosce solo la natura. Ma nessun animale pare apprezzare questo mondo d’incanto. Nessun scoiattolo vola da un albero all’alto. Nessun ragno tesse perché nessuna mosca vola. Solo un silenzio irreale.

Sul pavimento, tra le lastre di cemento o dove l’asfalto si fa rado, vigorosi fili d’erba disegnano linee che s’incrociano. Fra i fili, di tanto in tanto, fiori colorati interrompono le sequenze di verde con punti di giallo, di rosso, di viola. Ma sui petali e lungo gli steli non un insetto laborioso, non una formica distratta o un’ape attardata. Non una cavalletta. Ancora silenzio.

Dentro un altro edificio si vedono i resti di una dimora segreta abbandonata anzitempo. Gli abitanti irregolari sono stati svegliati e allontanati all’imbrunire di una sera d’estate dall’ordine costituito. Da mesi gli avanzi del cibo sono lì, sospesi nel tempo. Bottiglie d’olio, piatti pieni di patate e fagioli, bicchieri di vino. Scene domestiche che ricordano la vita, dove però vita non c’è più. E infatti venti pezzi di pane sono lì intatti da mesi. Nessun topo è venuto a prenderli. Nessun cane randagio affamato li ha voluti. Nessuna bestia disperata li ha toccati.

A Trento c’è un luogo dove non esiste vita. Si dice che il piombo tetraetile abbia dapprima un profumo di mandorle e che odori di cipolla soffritta dopo la lavorazione. Profumi apparentemente piacevoli. Alla Sloi, però, si sente solo una fragranza acre e uno strano presagio. I segni – per dirla con Fabrizio De Andrè – di una pace terrificante.

Alessandro Franceschini

 

      
   

torna su