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Trento, 24 maggio 2009
Gli assassini di Rostagno. E il 68 a Trento
di Giuseppe Raspadori
dal Trentino di domenica 24 maggio 2009

Dopo più di vent’anni la Giustizia ci dice oggi chi uccise Mauro Rostagno il 26 settembre dell’88, a Trapani, nella provincia dell’Italia che più dista da Trento. Mauro Rostagno fu il Sessantotto a Trento. Se tu non avessi mai saputo che cosa fosse un “leader carismatico”, Mauro Rostagno era proprio quello. L’immagine viva di lui che”racconta”, come solo lui sapeva “raccontare”, le analisi tese a demistificare, come si diceva allora, la falsa coscienza che avvolgeva “strutture e sovrastrutture” della società capitalista, quelle immagini di lui nell’aula magna n.5 di via Verdi, sempre stracolma quando lui parlava, rimane sono certo nel ricordo degli studenti di allora, dei professori che pure venivano ad ascoltarlo, dei bidelli, degli operai della Michelin, di tanti benpensanti progressisti trentini che trepidavano a fianco del MSA, il movimento studentesco antiautoritario della Libera Università di Trento.

Così, sempre avvincenti, erano i resoconti di Rostagno, anche quando, negli anni successivi, relazionava in Lotta Continua sulle lotte operaie alla Pirelli Bicocca di Milano, o sull’occupazione delle case nel quartiere Zen di Palermo.

Trento di allora era assai diversa, diversa la città, silenziosa e affascinante nel suo grigiore, nel suo coprifuoco alle sette della sera. San Bartolomeo, San Giuseppe, Cristo Re e San Martino erano i quartieri di confine, in centro rimangono, oggi, si e no 4-5 insegne di quelli che erano allora i vecchi negozi. Poi c’eravamo noi che “non volevamo trovare un posto nella società, ma creare una società in cui valesse la pena trovare un posto”. Noi, quasi tutti con l’eskimo, Marco Boato no, e sull’eskimo disegnata con la biro una stella cinese ed una falcemartello. Noi, che a vent’anni ce n’eravamo andati via da casa tra sgomenti e pianti, che vivevamo con poco, che mangiavamo nella mensa di via XXIV Maggio con 130 lire, che in facoltà ci facevam l’amore, in nome di quella liberazione sessuale che volevamo subito, unica liberazione che è rimasta tra le tante per le quali lottavamo.

Scappavano via da casa anche alcuni pochissimi e giovanissimi trentini, studenti medi organici di Sociologia, Gianni Endrici il primo che abbandonò il ginnasio, e assieme Fausto e Lucia che già si amavano a 16 anni e festeggiavano con coraggio la convivenza e la nascita di Erio. A Trento, tanto per dire i tempi ed i costumi, non eravamo neppure 90 mila, e nel 1968 ci furono 600 matrimoni, tutti in chiesa. Oggi, che siamo 115mila di matrimoni ne celebriamo meno di 400, di cui poco più di cento alla balaustra. I tempi sono cambiati, oggi, per noi fu allora il cambiamento.

Sì, in parte è vero, a Trento, come ebbe a dire Freud parlando della psicoanalisi quando sbarcò in America, i sociologi portarono la peste, la peste di una modernizzazione che dopo il boom economico premeva sull’Italia intera. E Mauro Rostagno rimane il più amato degli “untori” di quel tempo. Certamente il più bravo, il più creativo, il più comunicativo, senza nulla togliere alla “somma sapienza” e alla costanza di chi “eterno dura”, il suo amico fraterno Marco Boato.

 Rostagno se ne andò da Trento verso il finire, mi sembra, dell’estate del’69 per poi tornarvi qualche mese prima di essere ucciso dalla mafia, nel maggio dell’88, nei giorni del “ventennale”, assieme a tutti i sociologi che avevano vissuto quella stagione in cui, dal “controquaresimale” all’”azione esemplare” del blocco della limousine di Saragat presidente, Trento, meta di migliaia di giovani, sembrava essere capitale d’Italia, dell’Italia che s’è desta, intendo.

 Mauro Rostagno, sempre in aula magna, lesse in quei giorni una toccante lettera dal carcere di Renato Curcio, poi salutò tutti gli amici e se ne tornò in Sicilia, a proseguire con passione la sua vita. Tutto sembra ieri, e quando tutto sembra ieri è segno che “un passaggio”, per quanto lieve, ha voluto significare più di qualcosa.

Giuseppe Raspadori

      
   

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