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Rovereto, 25 novembre 2014
ROVERETO E GLI EREDI DEL DISINTERESSATO CIVISMO
di Donata Loss, già assessore comunale di Rovereto
dal Corriere del Trentino di martedì 25 novembre 2014

Non si può fare futuro senza conoscere le radici dei fenomeni e i legami sottesi.

Ricordare l’origine del Mart, nel momento in cui si discute il suo valore come produttore di cultura o di denari, può perciò illuminare una prospettiva che sembra accorciarsi sempre più. Fu l’intuizione dell’artista Umberto Savoia a dare corpo a un’idea, quando immaginò e disegnò un luogo che raccogliesse il patrimonio disperso del futurista Depero. Il punto migliore per ospitare ciò che, nel tempo, sarebbe diventato un archivio di idee e un laboratorio di cambiamento fu individuato nello spazio tra il «Magazzino del Grano» e il settecentesco Palazzo Alberti, di fronte all’imponente edificio fatto costruire dal barone Piamarta. Il nobile si raccomandò che la facciata si presentasse «non del tutto disagradevole, come da bel principio speranzavano tutti i suoi concittadini» nonostante le ingenti spese da affrontare.

Il Magazzino del Grano, in cui oggi è aperta al mondo la Civica Biblioteca, fu progettato da Ambrogio Rosmini, cultore d’arte e appassionato collezionista di stampe che condivise con il nipote Antonio l’idea di fare della propria abitazione una casa-museo aperta ai concittadini, convinto com’era della formidabile potenza formativa dell’Arte. Non solo Palazzo Alberti, ma tutti i palazzi settecenteschi affacciati sul «corso Nuovo» (collocato sul sedime della vecchia strada imperiale) sono testimonianze delle scelte degli imprenditori che, nel Settecento, seppero coniugare l’estetica privata con l’etica pubblica, l’innovazione tecnologica con la formazione degli artieri necessari a produrla.

La storia di Luigi Jacob, fondatore dell’ottocentesca Cartiera cittadina cui ricorreva anche Giuseppe Werdi per vergare i propri manoscritti musicali, ne è un esempio. Jacob ebbe l’idea di recarsi in Gran Bretagna per acquistare la macchina per la produzione di carta a nastro continuo di cui aveva letto nelle gazzette dell’epoca, in un periodo in cui la città si dotava, con la partecipazione finanziaria dei suoi «cives» possidenti, della facciata del Civico Teatro, di un ginnasio, di scuole professionali e asili. Le imprese e le idee di questi lungimiranti imprenditori ebbero una forte tonalità europea, che contribuì all’inserimento della «periferia» urbana di Rovereto in un’amplissirna dimensione progettuale dei processi storici in atto.

La scelta della collocazione del Mart fu dunque fortemente simbolica, sia pure contestata da una parte non sempre incolta della città, cui la collina sovrastante si preoccupò, franando, di dare ragione. Tuttavia il cielo di cristallo architettato da Mario Botta e da Giulio Andreolli ha resistito, estensione del progetto che riempì il Magazzino del Grano dapprima di scorte alimentari e poi di libri.

Ma, si dirà, non è più sufficiente ricordare ciò che è stato, occorre oggi proporre una nuova idea di cultura, una nuova idea di Mart, adattate a un territorio in cui è rapidamente cambiata la direzione in cui si muovono popolazioni, necessità, economie. Certo: ci vuole un’idea. E chi vorrà costruirla non potrà essere lasciato solo, qualsiasi ruolo ricopra, né dovrà fare affidamento su una politica riottosa o incapace di affrontare l’annoso conflitto tra l’idea di un museo che guadagna più danari o più bellezza e relazioni.

Si potrebbe avere nuovamente l’oro del grano e dei libri se gli imprenditori, i cittadini, gli amministratori oggi si presentassero, ognuno facendo la propria parte, come gli eredi di un disinteressato civismo, disposti ad agire per ottenere buoni frutti da un investimento in bellezza e in legami. Se si imbocca tale direzione occorre però saperne portare la responsabilità con pazienza e fatica, perché si sceglie un progetto di città, di territorio, di cultura che crede al guadagno sociale come valore eco/nomico, convinti che la cultura sia un «prodotto», inteso come processo regolato da un’idea, o meglio, da più idee. Altrimenti ci si può accontentare di costruire città-giocattolo, in cui una cultura dell’effimero espelle dal proprio orizzonte librerie e musei, altrettanto convinti che un mercato di «cose» risponda, davvero, alle attuali e scomode domande di senso.

Donata Loss
già assessore comunale di Rovereto

      
   

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