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Trento, 26 maggio 2012
La crisi e l’Italia del futuro: giovani, illusi e poi traditi
Il debito non puÒ ricadere solo sui giovani

di Antonio Zecca, Docente all’Università di Trento
da l’Adige di sabato 26 maggio 2012

Ci hanno dato di recente la notizia che l’Italia ha perso un milione di posti di lavoro negli ultimi quattro anni: gli Italiani hanno perso un milione di posti di lavoro.

Questa è la notizia nuda; poi è stata condita con il solito gioco dei tre bussolotti, il solito balletto delle cifre in contraddizione, per confondere. Ci hanno detto che 750.000 di questi posti di lavoro sono andati a lavoratori stranieri; e quindi (notate che il legame di conseguenza è solo un imbroglio logico) i posti persi sono stati «solo» 250.000.

La realtà è che rispetto al 2007 ci sono un milione di Italiani che hanno perso il posto di lavoro: inutile e falso indorare la pillola.

Se andate a cercare quel che è stato scritto negli ultimi giorni sull’argomento, troverete una infinità di analisi su differenze tra nord e sud, tra uomini e donne, tra questo e tra quello. Solo se uno riesce a districarsi nel balletto di numeri trova il fatto significativo e cioè che questa perdita di posti lavoro è stata pagata di più dai giovani Italiani: stiamo scavando la terra sotto i piedi dei nostri figli e - di più - sotto quella dei nostri nipoti.

Non troverete invece la solita storiella degli italiani che non vogliono fare certi tipi di lavoro: ormai sappiamo che è in gran parte falsa (i ragazzi si stanno adattando a tutto), mentre è vero che i datori di lavoro in Italia preferiscono gli stranieri perché li possono pagare di meno, perché li possono licenziare più facilmente e rimandarli al paese di origine, perché li possono ricattare.

Evidentemente quelli che usano da anni questa storiella si sono vergognati - almeno davanti a numeri così impressionanti.
Non è stata scritta una riga sul perché c’è stato questo terribile salasso e meno ancora su cosa si potrebbe e dovrebbe fare per invertire la tendenza.

Le ragioni macroscopiche di questa perdita sono in verità chiare a tutti.

Primo, la crisi economica mondiale che è esplosa negli Usa a metà 2008 e si è propagata tramite i meccanismi finanziari al resto del mondo.

Secondo: un governo che non ha governato. Ci hanno detto troppe volte che la crisi non c’era, che l’Italia non era coinvolta, che ormai la crisi era passata. Tutti sappiamo che non si può rimediare a un problema semplicemente negandone l’esistenza: ci volevano interventi e si può scommettere che se gli interventi fossero iniziati già tre anni fa, ora non saremmo nei guai in cui siamo e da cui Monti sta cercando di tirarci fuori. Questi interventi avrebbero potuto attenuare la crescita della disoccupazione in Italia.

Il terzo fattore è stato messo in evidenza dai numeri pubblicati dall’Istat. La «sostituzione» di lavoratori Italiani con lavoratori stranieri è da decenni funzionale agli interessi economici di imprenditori nel campo dell’industria, dell’agricoltura, del turismo e dei servizi. In ultima analisi le «politiche di immigrazione» hanno ottenuto il risultato di trasferire ricchezza dalle categorie dei lavoratori dipendenti e dei poveri alle categorie imprenditoriali. Gli stranieri sono stati soltanto il grimaldello per ottenere questo trasferimento.

Il problema non è stato e non è quello di controllare il flusso di immigrazione: è quello di controllare la «sostituzione» dei lavoratori Italiani. Farlo oggi è reso più difficile che venti anni fa, perché il grimaldello è stato piegato abilmente per sfruttare le molte sfumature di pensiero che abbiamo in Italia sul tema dell’accoglienza.

Tuttavia gli Italiani, indipendentemente dalle idee sull’accoglienza, ritengono che un governo che si rispetti dovrebbe avere un piano per la preparazione professionale dei giovani che si confronti razionalmente con le esigenze di manodopera del sistema Italia.

È esattamente l’opposto di quello che è stato fatto finora: hanno confrontato (per esempio) il tasso di laureati in Italia con il tasso medio in Europa. Confronto idiota perché ogni nazione ha esigenze / situazioni diverse. Ma è servito a incitare i nostri giovani a prendere la laurea, mentre la nazione aveva bisogno di piastrellisti o di cuochi. Il risultato è che il sistema formativo Italiano ha creato un surplus enorme di laureati e una carenza di lavoratori qualificati per altri mestieri.

Ora i nostri politici frustano questi laureati perché non vogliono fare i piastrellisti o i cuochi. Vorrei provare a proporre ai nostri ministri superlaureati di adattarsi a un lavoro molto meno pagato.

Il danno fatto negli ultimi venti anni è ormai fatto, ma è feroce contro le nuove generazioni continuare a illudere i giovani promettendo loro un lavoro «dopo la laurea».

È urgente un cambiamento in questo senso: professionalizzare i giovani per i lavori e i mestieri di cui avrà bisogno la nazione. Dall’altro lato, preparare imprenditori e «padroncini» all’idea che da questa crisi non si esce senza pagare il debito che noi stessi abbiamo contratto negli anni passati.

Prepararli all’idea che è impossibile (non c’è sufficiente ricchezza) che il debito possa essere pagato solo dai giovani e dalle classi povere.

Tutti dovremo rinunciare a qualcosa.

Antonio Zecca
Docente all’Università di Trento

 

      
   

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