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Trento, 11 marzo 2015
Dal Tesino alla sua Africa
Storia di Alcisa Zotta, grande missionaria

La biografia curata dalla sorella Odilia
da l'Adige di mercoledì 11 marzo 2015

"LA SUA AFRICA - Coraggio vocazione cammino di Alcisa Zotta"
Prefazione di Gabriella Caramore e Maurizio Ciampa

di ODILIA ZOTTA, pp. 320 - Edizioni Il Margine, 2014

Alcisa Zotta a Daloa (Costa d'Avorio) nel 1975

Molte sono le storie, che abbiamo incontrato in questi anni, di grande desiderio di conoscenza e capacità di amare. Molte di queste storie sono accompagnate, inevitabilmente, da un inquieto vagabondare. Quella di Alcisa Zotta, raccontata nel libro La sua Africa», ci ha colpito per il grande respiro che la percorre, come una forza che viene da dentro e da altrove, e la guida in un fecondo vagabondare nei luoghi, nei silenzi, nei volti di uomini e donne che ha incontrato.

Vale davvero la pena seguire l'inquieto itinerario di questa donna attraverso lo spazio - il Trentino dell'infanzia, Londra, Parigi, la «sua» Africa - e il tempo, più di mezzo secolo, dalla metà degli anni trenta agli anni novanta. Quasi vent'anni dopo la sua tragica scomparsa, nel marzo del 1996, è la sorella Odilia, più piccola, a raccogliere le tracce della sua vita, a non consentire che le sue parole, i suoi gesti, andassero perduti.

Odilia ha raccolto le lettere, i diari, alcune fotografie, ha cercato testimonianze sulla vita della sorella, componendo tutti questi elementi in un disegno pieno di luce, che tuttavia non tralascia gli ostacoli e le difficoltà che via via Alcisa ha incontrato. 

Al margine di uno dei suoi quaderni, c'è una frase di Antoine de Saint-Exupéry , l'autore de Il piccolo principe: «Nella morte di un uomo, muore un mondo che resta sconosciuto».

È certamente vero. Nella morte di un uomo s'inabissa tutto ciò che egli ha vissuto, si spegne il senso che, come una sorta di soffio vitale, lo ha animato. Soltanto la memoria può arrivare a impedirlo. La memoria ha potenzialità taumaturgiche, può rimettere in vita. E Odilia raccoglie una memoria, intreccia un dialogo con la sorella, e ne restituisce la vita.

Esattamente questo accade leggendo «La sua Africa»: Alcisa torna in vita. Sembra di percepire distintamente la linea della strada su cui si è mossa, se ne intravede l'orizzonte, come in una tersa giornata in alta montagna. Sembra di toccare il suo cuore.

Il punto d'inizio è labile, fortuito, come capita nelle narrazioni che scaturiscono dall'intreccio inusitato del caso. Ma spesso è il caso a far affiorare il vero contorno delle cose. È il caso a mostrarcelo.

Ricorda Odilia Zotta nell'introduzione al libro: «Dopo la morte di Alcisa, troviamo nella soffitta della nostra abitazione il suo diario. Quaderni di scuola scritti a mano e numerati, con annotazioni quasi quotidiane e con grafia veloce, nervosa, non sempre di facile decifrazione. La lingua usata è l'inglese, un inglese di uso comune, appreso come autodidatta. Il diario copre un terzo della sua vita e ne traccia il profilo più maturo e più autentico. Insieme alle lettere è il documento fondamentale per ricostruire la straordinaria vita di questa donna».

La «straordinaria vita di questa donna» comincia in un piccolo paese della provincia di Trento, Castello Tesino, dove Alcisa nasce nel 1934.

La sua Africa si apre inaspettatamente fra le montagne, «sulle pendici erbose del monte Agaro». È il 1946. La guerra è finita, ma la vita resta dura. Povertà e fame continuano a gravare come lastre pesanti sull'esistenza delle famiglie. C'è poco, e va spartito fra molti. Alcisa ha dodici anni, «occhi celesti come la mamma, capelli biondi raccolti in due lunghe trecce». Poco più di una bambina, ma ha già un compito da assolvere con quotidiana disciplina, almeno durante l'estate: portare al pascolo le poche mucche di famiglia. Esce con il sorgere del sole e rientra a casa solo quando il sole tramonta. In mezzo una distesa di tempo dove può «pensare» e «sognare». In completa solitudine.

Su quelle montagne, sui prati, nei boschi, Alcisa comincia a sognare il mondo. A questo riguardo, il libro non dice molto altro, ma non è difficile immaginare una bambina protesa verso l'adolescenza, dotata di una curiosità enorme, che, nello specchio della propria solitudine, cerca i riflessi di altre terre, di altri paesaggi. L'Africa, ovviamente, non c'è ancora. Per il momento, Alcisa aspira semplicemente a Trento e alla specializzazione in puericultura. Terminati i suoi studi, ottenuto il diploma, comincerà ad uscire dai confini della sua valle, che sente come una «gabbia» soffocante. Si mette sulle strade del mondo. Sola, libera. A cercare.

Nel 1958 è a Londra, poi Parigi. E altri viaggi - tanti -, altri Paesi, ma anche molto lavoro, fatica senza risparmiarsi. Pur lontana da casa, non ha dimenticato la famiglia che si è lasciata alla spalle. Se ne sente responsabile, come, da bambina, si sentiva responsabile del pascolo. Così manda a casa i soldi che servono per far studiare le due sorelle minori, Alma e Odilia. Come facevano gli emigranti che hanno lasciato Castello Tesino in flussi di disperazione e, insieme, di speranza lungo il corso di almeno mezzo secolo. Alcisa è una emigrante particolare, non solo perché è una donna - e potrebbe anche bastare: in quegli anni le donne sono ancora estremamente limitate nella loro autonomia -, ma anche perché a spingerla fuori dai suoi confini è soprattutto, almeno inizialmente, il desiderio di conoscenza.

«Tu sei quella delle grandi idee», le scrive la madre, che con Alcisa ha una particolare sintonia affettiva. Prova ansia per questa figlia sempre lontana, ma non la contrasta, non la giudica per la drastica diversità delle sue scelte («noi non possiamo che ammirare la tua forza di volontà, il tuo coraggio? vediamo che dove vuoi arrivare arrivi»). Vorrebbe smorzare un po' la sua irrequietezza, placare il furore della sua ricerca, o forse soltanto distenderne il ritmo che ritiene troppo sostenuto.

Ma per Alcisa non è il tempo della calma. Dopo aver conseguito la laurea che le permette d'insegnare, matura una rottura più decisa, un distacco più radicale. Da che cosa? Fondamentalmente da se stessa, o dalla vita che fino a quel momento ha condotto. Le grandi città dell'Europa, Londra, Parigi, le stanno strette. Trova angusto il loro modo di vivere. Angusto e stordito. Non è certo questo il mondo che Alcisa sognava quando pascolava le mucche sui prati sopra Castello Tesino. Ora cerca altro, cerca la vita, e relazioni autentiche, non mediate dall'interesse o alterate dal potere. Così sceglie l'Africa più povera. 

Nel 1972 eccola nel Burkina Faso. Un bel salto, forse con qualche paura, di cui comunque parla ben poco, e poi la sua dose di coraggio è tale da polverizzare ogni paura.

La tenace ragazza di Castello Tesino, ora quarantenne, riuscirà ad «andare dall'altra parte», attraversando il «muro» che ancora la separa dalla vita africana. Ci vuole un altro passaggio, un altro spostamento, verso «la parte nord della Costa d'Avorio».

«A mani vuote», questo è il programma di Alcisa Zotta alla fine del 1975. Mira al cuore del deserto, il Sahara, l'Ahaggar, dove un uomo, Charles de Foucauld , frère. Charles, sessant'anni prima, si è messo al servizio degli uomini, lì, proprio nel cuore del deserto. «Per arrivare all'amore di Dio - scrive frère Charles -, praticate l'amore per gli uomini; in ogni essere umano vedete un figlio di Dio, un fratello di Gesù? Fin da questo momento manifesto il desiderio di andare verso gli uomini e di farmi loro prossimo».

Ecco il movimento di Alcisa Zotta sulle tracce di Charles de Foucauld. D'ora in poi si muoverà nel solco dell'amore da lui professato. Tra gli uomini, le donne, i bambini, i vecchi. Nei villaggi, più che nelle città. Il «muro», la distanza che la separava dagli africani si è consumata. Ora Alcisa è dentro. Scrive da Tingréla nel marzo del 1976: «Penso di andare in un quartiere povero della cittadina per insegnare alle donne a fare un po' di cucito? Nel quartiere dove penso di andare mi conoscono e sembra mi accettino con simpatia. L'altro giorno, per esempio, avevo tutta una serie di bambini attorno; mi hanno accompagnato un poco e mi hanno preso le mani uno a destra e uno a sinistra, gli altri dietro».

Nella primavera di due anni dopo, il distacco. Ed è doloroso. Ma la decisione è presa: Alcisa rientra in Italia, anche per star vicina alla madre, che è ormai in età avanzata.

Il rientro in Italia non è facile. Alcisa conoscerà isolamento, frustrazione, sconforto. Un nuovo deserto, ma un deserto di uomini e di prospettive. Vita arida e aridi i cuori. Il diario prende a questo punto un diverso tono, quello di un'anima ferita, disorientata, che vorrebbe essere utile alla comunità, alla Chiesa, ma non è messa in grado di farlo («Che triste desiderare di fare qualcosa d'importante in parrocchia e mai essere richiesta di qualcosa. Non solo, ma se prendo qualche iniziativa vengo sgridata»). Il suo giudizio sulla Chiesa di Roma è una sentenza («uno stato dittatoriale»), ma è implacabile anche quello sulla Chiesa locale, impigliata nelle proprie inerzie.

«Afflizione», questa è la parola che Alcisa usa per rappresentare il suo stato d'animo Non un umore passeggero, ma un velo nero che avvolge il suo cuore. È dice, «il periodo più difficile della mia vita». «Mi sento inutile, sola, tagliata fuori dalla comunità. Qualcosa si è rotta dentro di me». «La mia vita oggi è un terreno sterile».

Come è possibile uscire da quel tunnel buio? Come ce la può fare? Alcisa ci prova. Comincia gli studi di teologia a Padova. Un piccolo spiraglio. Ma sente attorno a sé un «mondo troppo vecchio e con il peso di troppe pesanti tradizioni». «Mi sembra di vedere una Chiesa che lotta per tenere il suo potere». «Povera Chiesa», dice Alcisa quasi accorata.

Solo la morte della madre, nell'aprile del 1988, la distoglie, con durezza, da questi pensieri. 

È una radice che si spezza, una specie di annientamento interiore. Alcisa si riprende con grande fatica.

Negli anni che seguono, segnati dall'assenza della madre, Alcisa accumula le energie per una nuova partenza. Vuole lasciare «questo mondo che mi ha tenuto per anni prigioniera». Una nuova missione in Africa. «Parto per un lungo viaggio, prendo una direzione sconosciuta». Alcisa ha 61 anni, un corpo affaticato, ma il coraggio è quello di sempre.

Parte alla fine del 1995. Con una vecchia auto, una Fiat 126. Arriva fino a Brindisi e traghetta in Grecia, poi la Turchia, la Siria, la Giordania, all'inizio del nuovo anno, e Israele alla fine di gennaio. Un viaggio straordinario («uno strano viaggio, che si fa una sola volta nella vita»). Alcisa ne è felice, si nutre di quello che vede.

«Ora sono sola e resterò così, perché voglio essere libera per Dio», aveva scritto dopo la morte della madre. A Tel Aviv, dopo tre mesi di questo «viaggio straordinario», s'imbarca su un aereo diretta per Lagos. È il 1° marzo del 1996. Alcisa muore quattro giorni dopo. Su una strada sterrata, in Camerun. Alle 3 del mattino. Incastrata fra le lamiere di un camion.

Non ci sarà un'altra Africa. C'è però l'Africa di questo libro e la vita che racconta, quella di Alcisa Zotta. C'è la sua lotta, la sua libertà e il suo coraggio, la sua capacità di donare. E il dono di Odilia alla sorella e a noi.

 

      

il libro:
la copertina del libro
la sua africa
coraggio vocazione
cammino di
Alcisa Zotta



presentazione:
TRENTO
12 marzo 2015
ore 17.30
Sala Biblioteca
comunale, Via Manci
le immagini

 

   

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