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      Trento, 10 ottobre 2011 
        Le celebrazioni per il 150° anniversario dell’unitÀ d’Italia. 
        Il parlamento italiano: gli eventi storici, e i cambiamenti visti dall’interno 
        Intervista a Marco Boato, di «Altrestorie», pubblicazione  della Fondazione Museo Storico di Trento 
              D. Che cosa pensa delle celebrazioni per il 150°  anniversario dell’Unità? Tanta retorica o anche reali insegnamenti per la  classe politica e per i cittadini? 
        R. La retorica in questo tipo di celebrazioni appare sempre,  per così dire, ad esse connaturata. Tuttavia bisogna riconoscere che sia il  Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sia il presidente del Comitato  dei garanti Giuliano Amato (succeduto a Carlo Azeglio Ciampi, dopo le sue  polemiche dimissioni) hanno saputo imprimere alle molte manifestazioni e  iniziative un carattere meno “paludato” e una capacità di rapportare l’evento  storico con i drammatici problemi della realtà attuale. Questa impostazione,  assai meno retorica del prevedibile, ha permesso, a livello nazionale, ma  soprattutto nelle molte città che ne sono state protagoniste, di realizzare  un’ampia partecipazione popolare e di promuovere anche eventi non effimeri per  le rievocazioni delle tappe salienti del processo unitario. Il principale  insegnamento è stato sicuramente quello di ravvivare nella classe politica e  soprattutto nelle popolazioni il senso dell’unità nazionale, mettendo sempre in  rapporto – nello spirito dell’art.5 della Costituzione – l’identità nazionale  con il riconoscimento e la valorizzazione delle autonomie locali, temperando  l’originaria “piemontesizzazione” centralistica dell’Italia monarchica con  l’impianto autonomistico della Repubblica.  
              D. Lei ha alle spalle 23 anni in Parlamento, ma è stato  molto presente anche sulla scena trentina. In relazione a questa sua, diciamo,  doppia appartenenza, come ha vissuto le polemiche sui festeggiamenti avanzate  dagli altoatesini, ma anche da alcune fette della popolazione trentina? 
        R. Nella nostra regione Trentino-Alto Adige/Südtirol la  ricorrenza assumeva indubbiamente un carattere più difficile e complesso.  Questa regione è entrata a far parte dell’Italia unita soltanto dopo la prima  guerra mondiale, nel 1919. E mentre per il Trentino si trattava della  conclusione di una antica aspirazione che ha avuto il principale punto di  riferimento nella figura storica di Cesare Battisti (ma non solo, perché si può  risalire molto più indietro nel tempo e a molte altre personalità), per il  Sudtirolo si è trattato di una vera e propria “annessione” da parte della  potenza vincitrice, nella dissoluzione dell’impero austro-ungarico. A mio  parere, tuttavia, Luis Durnwalder avrebbe potuto sia ricordare questo “vizio  d’origine”, con la successiva forzata “italianizzazione” perseguita dal regime  fascista,  sia rivendicare positivamente  tutto ciò che è avvenuto dopo la seconda guerra mondiale. L’avvento della  Repubblica, l’Accordo Degasperi-Gruber, la Costituzione italiana con l’art.6  secondo cui “la Repubblica tutela con  apposite norme le minoranze linguistiche” inserito tra i principi fondamentali,  il primo Statuto di autonomia del 1948, la “Commissione dei 19” voluta da Aldo  Moro negli “anni delle bombe”, il “Pacchetto” del 1969, il secondo Statuto di  autonomia del 1972, le innumerevoli Norme di attuazione, la “quietanza  liberatoria” concessa dall’Austria nel 1992 e altre Norme di attuazione  successive, l’ulteriore potenziamento dello Statuto nel 2001 (di cui io stesso  sono stato uno degli artefici): tutto questo avrebbe dovuto consentire a  Durnwalder di partecipare alle celebrazioni rivendicando la peculiarità  dell’Alto Adige/Südtirol nell’ambito della Repubblica italiana, senza nulla  rinnegare delle critiche al passato fascista e nazionalista. Non averlo fatto è  stata un’occasione persa di ergersi a rappresentante di tutta la comunità  sudtirolese, cittadini di madrelingua italiana compresi, in un confronto  critico, ma propositivo con l’intera comunità nazionale. Per quanto riguarda il  Trentino, mi è sembrato un po’ patetico da parte di alcuni settori voler  rincorrere i sudtirolesi con reminiscenze “austriacanti”, sulla scia delle enfatizzate  celebrazioni di Andreas Hofer e del moltiplicarsi artificioso di neo-nate  compagnie di Schützen. Il Trentino non ha mai goduto, neppure in minima parte,  nell’ambito dell’impero austro-ungarico e del Tirolo storico, del livello di  autonomia politico-istituzionale e finanziaria di cui ha goduto e gode nella  Repubblica italiana. Uno storico sudtirolese come Claus Gatterer è stato, a suo  tempo, molto più equilibrato nelle sue ricostruzioni, anche rispetto alla  figura di Cesare Battisti. 
              D. Può ricordare alcuni dei momenti più importanti e  cruciali, nel bene e nel male, di cui è stato testimone in Parlamento? 
        R. È difficile farlo in poche parole, essendo entrato in  Parlamento nel 1979 ed essendone uscito – dopo varie interruzioni – per  l’ultima volta nel 2008: quasi trent’anni di storia! Nella mia prima  legislatura, 1979-83, i momenti salienti hanno riguardato soprattutto tutte le  vicende legate al terrorismo politico, negli “anni di piombo” italiani.  Bisognava combattere il terrorismo senza permettere la degenerazione  “emergenziale” dello Stato di diritto. Ma ricordo anche lo choc dell’emergere  dello scandalo P2. Nella mia seconda legislatura, al Senato nel 1987-92,  ricordo (erano entrati per la prima volta i Verdi) la sequenza di innovazioni  legislative in materia ambientale: le leggi-quadro sui Parchi e sulla caccia,  la legge sulla difesa del suolo, le prime leggi sulle energie alternative. Ma  anche la prima legge anti-trust, che segnò una svolta in materia di tutela  della concorrenza. Straordinaria la partecipazione alla “Commissione Stragi”  con le vicende di Ustica, il “caso Moro”, Gladio, e il terrorismo in Alto Adige,  di cui fui relatore incontrando molte resistenze nei settori più nazionalisti.  Nella mia terza legislatura, 1992-94 alla Camera, ricordo l’esplosione di  “Tangentopoli” e la drammaticità del “caso Craxi”, ma anche la nuova legge  sull’elezione diretta dei Sindaci e la nuova legge elettorale maggioritaria per  l’elezione del Parlamento, dopo lo straordinario referendum del 18 aprile 1993.  Vi fu anche la mia partecipazione alla prima Commissione bicamerale per le  riforme istituzionali, la De Mita-Iotti, i cui lavori però “abortirono” a causa  dello scioglimento anticipato delle Camere dopo soli due anni. Nella mia quarta  legislatura, 1996-2001, emerge la straordinaria esperienza del primo Governo  Prodi (fatto cadere nel 1998 da Rifondazione comunista di Bertinotti) e  l’altrettanto straordinaria esperienza della seconda Bicamerale, presieduta da  Massimo D’Alema, nella quale io fui relatore sui temi della giustizia e del  sistema delle garanzie. Quel lavoro si interruppe, ma subito dopo approvammo la  riforma costituzionale dell’art.111 della Costituzione, con l’introduzione dei  principi del “giusto processo”, la riforma costituzionale del Titolo V in  materia di “forma di Stato” e la legge costituzionale per la riforma dei cinque  Statuti delle autonomie speciali. Nella legislatura successiva, 2001-2006,  dominata interamente da Berlusconi, ricordo il duro lavoro di opposizione sui  temi politici e istituzionali (col successivo referendum che bocciò le  modifiche costituzionali imposte dal centro-destra) e l’inutile tentativo di  impedire la “controriforma elettorale”, che ha totalmente snaturato il nostro  sistema politico (e su cui ci sarà forse, nel 2012, un nuovo referendum, per  abrogarla). La mia ultima legislatura, assai breve, dal 2006 al 2008, è stata  segnata dalle difficoltà del secondo Governo Prodi, con una risicatissima  maggioranza sottoposta a tutti i ricatti, mentre nella Commissione Affari  costituzionali stavamo tentando di portare in porto le leggi sulla libertà  religiosa, sull’emigrazione, sui diritti di cittadinanza, sulla riforma del  Parlamento stesso. Ma tutto si è concluso anticipatamente, senza esito, salvo  la riforma dei servizi segreti. 
              D. Come giudica la preparazione dei parlamentari oggi, la  loro presenza e competenza? Quali dovrebbero essere le qualità di un deputato o  senatore? 
        R: Non c’è dubbio che l’attuale legge elettorale – denominata  «Porcellum» dal politologo Giovanni Sartori – ha contribuito al degrado  assoluto nella selezione della classe politica. Non voglio apparire alla  stregua dei «laudatores temporis acti», anche perché persone di valore ci sono  ovviamente anche tra i parlamentari attuali. Ma una legge elettorale che  prevede le liste bloccate, e quindi non la vera elezione da parte dei  cittadini, ma la nomina degli eletti da parte dei segretari di partito,  comporta una selezione al ribasso dei deputati e senatori, che oltre a tutto  hanno perso in questo modo qualunque legame col proprio territorio. C’è chi è  arrivato in Parlamento per meriti totalmente estranei (per usare un eufemismo)  alla competenza e preparazione politica, altri (non solo a destra, ma anche a  sinistra) che si sono fatti vanto di non aver mai fatto alcuna esperienza  politica! È giusto rifiutare il “professionismo” politico, ma è necessario che  nei legislatori ci sia una professionalità della politica, senza la quale  decidono solo i vertici o i centri di potere e le lobbies estranee al  Parlamento e a qualunque legittimazione democratica. 
              D. Come sono cambiate le forme del dialogo nelle aule  parlamentari? La dialettica, lo scambio, l’atteggiamento nei confronti degli  elettori? 
        R. Avendo fatto parte del Parlamento sia nella cosiddetta  “Prima” che nella “Seconda” Repubblica, ho rilevato un degrado del confronto  parlamentare, nella crisi del sistema politico e istituzionale che ha segnato  la transizione dei primi anni ’90. Luci e ombre c’erano sia prima che dopo, ma  dopo c’è stato un progressivo deterioramento dello stesso linguaggio  parlamentare, un confronto-scontro privo di legittimazione reciproca, la quale  dovrebbe essere la precondizione per qualunque dialettica parlamentare non  degenerata. Ed essendo venuti meno sia il metodo delle preferenze (pur con i  rischi del clientelismo) della Prima Repubblica, sia il metodo dei collegi  uninominali (pur con i rischi dell’imposizione dall’alto di certi candidati)  della Seconda Repubblica, il rapporto con gli elettori dei parlamentari  “nominati” e non eletti è venuto progressivamente meno: non si viene più eletti  per il proprio rapporto col territorio, ma per il rapporto di sudditanza  rispetto al segretario di partito. Non ci si può lamentare allora del distacco  dei cittadini dalla politica. 
              D. Come considera il ruolo del Presidente della Repubblica,  anche in relazione agli attuali dibattiti sul federalismo? 
        R. Nelle macerie politico-istituzionali della crisi attuale,  l’istituto “Presidente della Repubblica” è l’unico che si sia salvato rispetto  al crollo di credibilità che ha colpito le altre istituzioni e lo stesso  sistema dei partiti. E l’attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano  - come in parte già i predecessori, ma oggi più di ieri - ha dovuto sempre di  più esercitare non solo il ruolo di garante dell’unità nazionale e della  Costituzione, ma anche una funzione di “supplenza” rispetto agli squilibri e  alle omissioni delle altre istituzioni politiche, rappresentative e di governo,  oltre che rispetto al funzionamento della giustizia e alla drammatica  situazione delle carceri. Consapevole delle difficoltà di un sistema  eccessivamente centralistico nonostante la rilevanza costituzionale del sistema  delle autonomie, il Presidente Napolitano ha cercato di agevolare le riforme in  direzione del federalismo, ma ha anche alzato un muro invalicabile rispetto  alle ricorrenti tendenze “secessionistiche”, rilanciate dalla Lega Nord anche a  causa della propria crisi di consensi e delle proprie dilacerazioni interne. 
              D. Può ricordare le reazioni e gli effetti suscitati in  Parlamento dalle richieste di secessione della Lega Nord?  
        R. I ricorrenti tentativi della Lega Nord di rivendicare la  secessione della “Padania” dal resto dell’Italia hanno sempre trovato una  reazione molto dura in Parlamento, anche da parte dei propri alleati. Del  resto, ricordo la lunga tensione – all’inizio della legislatura 1996-2001 – con  l’allora Presidente della Camera dei deputati, Luciano Violante, perché questi  voleva impedire che la linea secessionista venisse inserita addirittura nel  nome del Gruppo parlamentare; e in effetti venne imposta una diversa  denominazione del Gruppo stesso. La propaganda “secessionistica” della Lega  Nord è stata ripresa a fase intermittenti, per lo più legate a situazioni di  difficoltà interne al partito, ma si è sempre svolta più all’esterno che  all’interno del Parlamento. Non ricordo iniziative legislative al riguardo,  mentre si moltiplicavano le iniziative esterne, tipo lo pseudo-Parlamento della  Padania, poi finito nel nulla. In epoca più recente l’ipotesi secessionista è  stata rilanciata per tacitare le tensioni interne dovute alle corresponsabilità  nel Governo Berlusconi. Ma finora si è sempre trattato più di propaganda  populistica nei comizi e nelle manifestazioni che di azione politica  conseguente, la quale del resto – qualora venisse messa in atto – porterebbe  anche a precise ipotesi di reato, come ha ricordato il Presidente Napolitano  rievocando le vicende giudiziarie del movimento separatista siciliano subito  dopo la seconda guerra mondiale. 
              D. Che ricordi ha della sua esperienza nella Commissione  Affari costituzionali? Si è discusso anche di formule alternative di governo e di  amministrazione del territorio, ci sono state proposte che mettevano in  discussione l’unità del paese? 
        R. La Commissione Affari costituzionali è quella a cui io ho  partecipato più a lungo e continuativamente, nella mia lunga esperienza  parlamentare. È in quella Commissione che si sono sempre esaminate tutte le  proposte di riforma della Costituzione anche in materia di “forma di Governo” e  “forma di Stato”. Ma va anche ricordato che per due bienni – nel 1993-4 e nel  1997-98 – tutti questi problemi sono stati demandati all’esclusiva competenza  delle due Commissioni bicamerali per le riforme istituzionali (De Mita-Iotti e  D’Alema), delle quali ho fatto parte, nella seconda anche con la funzione di  relatore. Non sono mai state avanzate esplicitamente proposte che mettessero in  discussione l’unità del paese, anche perché la Lega Nord non ha mai avuto un  peso rilevante in queste commissioni. C’è stato invece un tentativo da parte  sua di far approvare, nella legislatura 2001-2006, una proposta di riforma  costituzionale, per introdurre un nuovo tipo di referendum che avrebbe potuto  bloccare il processo di integrazione europea. All’epoca feci invitare in  audizione in Commissione anche due illustri costituzionalisti della nostra  regione: il prof. Roberto Toniatti e il prof. Francesco Palermo. Anche grazie  al loro apporto dottrinale, riuscimmo a bloccare questo tentativo  pericolosissimo, nonostante in quella legislatura fossimo all’opposizione. La  Lega Nord aveva capito che – con l’ingresso dell’Italia nell’area dell’euro –  era fallito il primo tentativo secessionista della seconda metà degli anni ’90  e aveva anche capito che la piena permanenza dell’Italia in Europa avrebbe  bloccato in futuro ulteriori tentativi in questa direzione. Per questo era  tornata alla carica cercando di minare le basi dell’appartenenza piena  dell’Italia all’Europa di fronte alla nuova fase costituente (era in  discussione il nuovo Trattato costituzionale, non a caso poi bloccato con  referendum in Francia e in Olanda). Ma anche quel tentativo fallì di fronte  alla nostra opposizione. E la riesumazione recente di ipotesi secessionistiche  ha trovato una durissima stroncatura prima di tutto da parte del Presidente  della Repubblica, Giorgio Napolitano, non a caso garante dell’unità nazionale e  della Costituzione. 
        
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      MARCO BOATO 
         
        BIOGRAFIA 
       
       
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