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Roma, dicembre 2000
Lettera agli italiani di Francesco Rutelli
elezioni politiche del 13 maggio 2001

Care concittadine e cari concittadini,

sono candidato con le forze dell’Ulivo a guidare il governo del Paese nella prima, decisiva legislatura del nuovo millennio. Sosterrò questo impegno con determinazione, umiltà, entusiasmo.

La determinazione che nasce dalla coscienza delle capacità e delle idee del riformismo italiano. Con umiltà, perché di fronte alle incertezze del futuro l’Italia non ha bisogno di un capo assoluto né di un padrone, bensì di una classe dirigente capace di orientarne ed accompagnarne la creatività diffusa, la voglia di lavorare, il bisogno di sicurezza e di regole certe. Con entusiasmo, perché la nostra società ha già dimostrato di saper vincere sfide storiche come l’ingresso nell’Unione monetaria europea, raddoppiando il tasso della sua crescita economica e preservando, pur nei suoi forti dislivelli, una visione unitaria e solidale delle diverse aree del Paese.

Confido, con le forze della mia età, la mia esperienza di politico e di amministratore, di poter servire l’Italia e di operare nei prossimi anni, quando l’euro avrà preso il posto della lira, per stabilizzare definitivamente il nostro sistema economico e finanziario e soprattutto perché l’intera penisola sia dotata di servizi – pubblica sicurezza, trasporti, sanità, scuole – di alto livello europeo. In queste condizioni di fiducia le famiglie italiane potranno affrontare senza paura le sfide del cambiamento che ancora ci attendono.

In risposta alle inquietudini che attraversano il paese, il centrodestra eccita paure molto lontane dai nostri valori e dall’identità del popolo italiano. Un’Italia più libera e sicura può crescere solo all’interno di un’Europa tollerante e pluralista.
I valori stessi di cui è espressione la chiesa cattolica coincidono in larga misura con la cultura italiana ed europea, anche perché è forte l’idea laica di uno Stato capace di tutelarli e di garantire anche le diversità nell’ambito di regole comuni.
Cinque anni di governi dell’Ulivo ci consegnano un’Italia più moderna, e con maggior spazi di libertà di fare, più vitale di quella che conoscevamo. Il nostro programma per i prossimi cinque anni – che sarà presentato alla vigilia dello scioglimento delle Camere – è di renderla ancora più moderna, più libera, più vitale. Si tratta indubbiamente di un obiettivo ambizioso.

Con questa Lettera agli italiani presento le idee con cui intendo percorrere la strada che ci porti a questo obiettivo, coniugando i risultati del buon governo con un nuovo slancio di innovazione.

 

Italia, 2000

Il nostro paese è ai primi posti tra le nazioni più industrializzate. All’inizio degli anni Novanta il suo tasso di crescita economica era di circa l’1%. A metà decennio era salito di mezzo punto percentuale. Alla fine del 2000 toccherà il 2,8%. Buona parte del nord vive una condizione di pieno impiego. Al sud, una disoccupazione ancora molto al di sopra della media europea coesiste con notevoli tassi di crescita in alcune zone.

A dispetto di un quadro tutt’altro che negativo, il paese è diviso tra desiderio di cambiamento e incertezze per il futuro. Le privatizzazioni dello scorso decennio hanno aperto al mercato settori fin qui protetti. L’accesso all’informazione e alla tecnologia, in assenza del quale il mondo del lavoro è sempre meno avvicinabile, non è ancora alla portata di tutti. Gli stili di vita cambiano molto rapidamente, e in modo spesso tumultuoso. L’immigrazione, diventata nel giro di pochi anni un fenomeno di massa – seppure nettamente inferiore agli altri paesi europei – ha trasformato una società sostanzialmente stabile in un paese dalle componenti multietniche, chiamato a elaborare quasi all’improvviso forme di convivenza tutt’altro che scontate. La vivibilità di centri e periferie e la salute dei cittadini si confrontano con minacce e squilibri ambientali.

A tutte queste preoccupazioni cercheremo di rispondere con poche, chiare idee, e col progetto di una società aperta, che tuteli le tradizioni e accolga le differenze. Lavoreremo per un’Italia aperta al cambiamento, che affronti i suoi problemi e le sue paure imparando a tollerare e a governare le incertezze di una società complessa. Per costruire questa nuova Italia intendiamo raggiungere in cinque anni due grandi obiettivi: una piena e buona occupazione e una vita di qualità per gli italiani.

La piena e buona occupazione

Trovare un lavoro all’altezza delle proprie capacità è oggi la principale preoccupazione degli italiani. Per questo al primo posto del nostro programma c’è il raggiungimento di una piena e buona occupazione, che garantisca pari opportunità agli uomini e alle donne. E’ un traguardo meno remoto di quanto potrebbe apparire. Negli ultimi anni, infatti, il risanamento della finanza pubblica, l'ingresso in Europa, il ridimensionamento dei grandi monopoli pubblici e privati hanno sbloccato il nostro ambiente economico e sociale, restituendo efficacia alla libera concorrenza. Il primo risultato di questa trasformazione è che il milione di posti di lavoro rumorosamente promesso dai nostri avversari l’Ulivo lo ha, silenziosamente, realizzato. Adesso dobbiamo fare molto di più, portando in cinque anni la disoccupazione alla sua soglia fisiologica.

Per raggiungere questo traguardo, intendiamo agire su cinque nodi fondamentali:
1) il fisco e lo stato sociale;
2) la scuola;
3) la flessibilità e i nuovi diritti dei lavoratori;
4) l’imprenditoria e le nuove economie della conoscenza;
5) il mezzogiorno.

 

1) Un fisco più leggero e più semplice
        Una nuova cittadinanza sociale e liberi ‘piani di vita’ personali

Far coesistere un prelievo fiscale accettabile con un sistema di garanzie che assicuri a ogni cittadino un’adeguata base di diritti sociali è la grande scommessa di tutte le democrazie avanzate. Questa scommessa noi possiamo vincerla. Possiamo ridurre ulteriormente la pressione tributaria, e portare a compimento la riforma dello stato sociale coniugando due termini a lungo ritenuti incompatibili: libertà e sicurezza.

In cinque anni mi impegno a far scendere il peso generale del fisco sotto il 40%: un obiettivo ambizioso, ma realistico, e compatibile con il mantenimento dello stato sociale. In particolare, intendo ridurre di altri cinque punti il cosiddetto cuneo fiscale, cioè la differenza fra costo del lavoro effettivo e salario netto percepito. Se a questi interventi si uniranno ulteriori sgravi per le retribuzioni più basse, lavorare diventerà una scelta più conveniente per tutti, e assumere lavoratori – anche a basse qualifiche – più conveniente per le imprese.

Tenendo fisso questo obiettivo di legislatura, il mio governo cercherà di ottenere il massimo di mobilità sociale agendo su leve finora inerti, e a torto considerate marginali. La prima è la progressiva abolizione delle imposte sui trasferimenti di proprietà. Poter comprare una casa, un terreno o un’automobile senza costi aggiuntivi costituisce infatti un ausilio all’iniziativa privata, e una seria misura in favore dei cittadini economicamente meno forti.

Il welfare deve diventare essenzialmente uno strumento di prevenzione dai rischi e di riduzione dell’insicurezza. E’ necessario un intervento radicale, che leghi l’assistenza pubblicaalla riforma fiscale. Sarà alzato quindi il minimo imponibile esente, via via più alto a seconda del carico familiare; e le attuali forme di sostegno ai redditi andranno sostituite con un ‘dividendo sociale’, cioè un credito d’imposta rimborsabile, collegato all’incentivazione al lavoro o alla formazione, in modo da aiutare le famiglie bisognose a superare con le proprie forze la soglia di povertà.

La difesa del valore della famiglia, a partire dal fisco, è al centro della nostra attenzione.

Parimenti è per noi un obiettivo primario ridurre la povertà e la quantità di famiglie che si trovano in difficoltà.

Queste e altre misure andranno a comporre il disegno di una nuova cittadinanza sociale, che assicuri a ciascuno servizi e prestazioni essenziali – il diritto alla formazione, all’assistenza sanitaria, a una pensione dignitosa – lasciando poi ai singoli la libertà di elaborare un piano personale di assicurazioni integrativo. Ciò richiede che i diritti maturati in forme di lavoro diverse siano equiparati, e possano essere liberamente utilizzati da ciascuno sulla base della contribuzione assicurativa nell’arco della vita.

 

2) Una scuola più importante
        Libertà di scelta e certezza della qualità educativa

Tutte le nuove economie si basano su un accrescimento continuo dell’informazione e della conoscenza. L’idea di un ciclo formativo limitato a un periodo nella vita dell’individuo è quindi destinata, gradualmente, a scomparire. Abbiamo bisogno di un sistema che assicuri, oltre l’obbligo scolastico, la formazione professionale ai giovani, e prepari ciascuno a uno scambio continuo di lavoro e apprendimento in tutto l’arco della vita.

Di conseguenza ci servono più scuole, e scuole più competitive. Da un lato, si tratta di programmare investimenti pluriennali nella manutenzione e nel rifacimento delle strutture, e di chiedere agli insegnanti impegni professionali europei, in cambio di retribuzioni europee.

Dall’altro, occorre investire sul valore pubblico dell’insegnamento.

Su questo punto vogliamo essere molto chiari. La scuola è, e deve rimanere, un servizio pubblico, non statale, ispirato a finalità e a regole condivise. Una sua brutale immissione sul mercato non è quindi, nel nostro disegno, accettabile. Ma tutelare il diritto di tutti a una formazione di qualità, pur nel quadro di un sempre più rilevante sostegno alla scuola pubblica, non esclude, anzi postula, la diversificazione dell’offerta di insegnamento. Nello schema che intendiamo attuare lo Stato garantirà la parità e la corretta competizione, sulla base di presupposti comuni, degli istituti pubblici fra loro e nei confronti dei privati. Ma fornirà alle famiglie, che devono scegliere il corso di studi dei propri figli, una certificazione di qualità basata su parametri quali i programmi e il rendimento.

Intendiamo infine garantire a tutti l’accesso, e arginare il grave fenomeno dell’abbandono scolastico. Pensiamo ad assegni attribuiti in base al merito, che diano più indipendenza agli studenti, estendendo le regole materiali del diritto allo studio.

 

3) La flessibilità e i nuovi diritti dei lavoratori

Le nuove regole sulla flessibilità e sul mercato del lavoro hanno consentito a centinaia di migliaia di giovani di trovare un’occupazione, che in buona parte dei casi si è poi trasformata in un rapporto stabile. Non dobbiamo quindi avere paura dell’opportunità di cambiare lavoro, o di lavorare in forme sempre diverse. Ciò che invece dobbiamo impedire è che la flessibilità si trasformi in precarietà diffusa, bruciando molte delle garanzie tradizionali.

Per questo il nostro intento è trasformare l’incertezza di chi è in cerca di un’occupazione, o vede minacciata la propria, in una grande occasione di libertà: libertà di scegliere come e dove formarsi, di passare anche più volte da un’attività a un’altra, da una città a un’altra.

Per questo riteniamo necessario istituire, e garantire, nuovi diritti. Quello a una formazione continua, innanzitutto, che ponga ciascuno in condizione di affrontare i cambiamenti senza esserne travolto. E quello a una rete di protezione delle cui maglie facciano parte una adeguata copertura, anche assicurativa, per il rischio di disoccupazione, pari ad almeno il 50% dell’ultima retribuzione e il ricongiungimento del percorso previdenziale anche per chi esercita attività saltuarie, o ha un rapporto di tirocinio o di collaborazione.

 

4) L’imprenditoria e le nuove economie della conoscenza

Il tessuto di imprese grandi, medie e piccole che è la forza dell’economia italiana costituisce un modello studiato in tutto il mondo come efficace prospettiva nazionale nel mondo della globalizzazione. Noi intendiamo rafforzarlo, aprendolo alle nuove economie della conoscenza.

Per questo abbiamo scelto di intervenire sia sui costi vivi – in primo luogo quelli energetici – sia sui margini di rischio, tuttora alti per la piccola imprenditoria tradizionale e decisamente eccessivi nelle iniziative collegate alle nuove tecnologie. La recente crisi del petrolio ci ha ancora una volta posto di fronte alla nostra dipendenza, sbagliata e antieconomica, dai combustibili fossili. Dobbiamo investire subito nelle fonti rinnovabili, come l’energia solare, e avviare la ricerca e lo sviluppo delle risorse del futuro, quali l’idrogeno.

In parallelo, è urgente dare compimento alla liberalizzazione del mercato dell’energia, ottenendo così una riduzione delle tariffe e un consistente miglioramento dei servizi.

Per tutte le piccole imprese e per le attività artigiane e commerciali stiamo elaborando un pacchetto di proposte che riguardano il fisco, il credito, i rapporti con la pubblica amministrazione, gli enti bilaterali di concertazione. Ma, soprattutto, gli aiuti per l’innovazione tecnologica.

Sulle nuove economie esistono infatti poche certezze, o forse una sola: che il loro sviluppo è estremamente rapido, e impone trasformazioni altrettanto veloci. E’ quindi essenziale semplificare quanto più possibile l’apertura di nuove attività. In questo senso vanno tutte le nostre realizzazioni e proposte, dallo sportello unico per le imprese all’autocertificazione degli imprenditori. Ma, ancora più in profondità, va reso immediato l’accesso ai capitali di rischio. Né l’attuale offerta creditizia, né le eventuali risorse personali sono infatti sufficienti a finanziare iniziative spesso onerose, soprattutto nella fase iniziale. In altri paesi avanzati, a ciò provvedono fondi pubblici creati ad hoc – una formula che stiamo pensando di importare, adattandola alle caratteristiche del nostro mercato.

Infine, è importantissimo chiudere il circuito fra impresa e ricerca, e lo si può fare agendo in entrambe le direzioni: trasformando l’università in un ‘incubatore’ di progetti realizzabili all’esterno, e finanziabili con fondi specializzati che ne attenuino il rischio, e offrendo crediti di imposta alle imprese che collaborano con la ricerca.

 

5) Investire nel sud: una scelta conveniente

L’Italia meridionale è in cammino. Alcune zone registrano tassi di sviluppo superiori a quelli di parti del nord. Nonostante la disoccupazione ancora alta, il permanere di sacche di arretratezza e la presenza della criminalità organizzata, il sud ha una nuova classe dirigente, che rifiuta l’approccio assistenzialista, e chiede di poter competere, in Italia come in Europa.

Il futuro del meridione è legato a quello delle nuove tecnologie, capaci di generare nuova imprenditorialità e sviluppare le vocazioni naturali del territorio: l’agricoltura, anche tipica e biologica, un’industria di trasformazione non inquinante, il turismo – nel settore soltanto un addetto su cinque lavora al sud, una percentuale che potrebbe essere triplicata. Ma le nuove tecnologie corrono il rischio di girare a vuoto, se non si affrontano i nodi veri dello sviluppo meridionale. Il primo è senz’altro la sicurezza delle persone e delle imprese, da garantire con una lotta alla criminalità organizzata che in questi anni ha dato risultati importanti, ma che è lontana dall’essere conclusa. Ci sono poi infrastrutture da ammodernare subito, cominciando da quelle vitali: trasporti, reti di metanizzazione, acquedotti e aeroporti.

Investire nel sud deve diventare conveniente. Già la Finanziaria del 2001 prevede una serie di sgravi fiscali per l’emersione del lavoro nero e crediti d’imposta che spesso rimborsano, alle imprese, oltre la metà del capitale impegnato. E le risorse per interventi di ampio respiro non mancano. L’Unione Europea ha messo a disposizione, per il mezzogiorno, circa centomila miliardi entro il 2006. Una somma ingente, che in collaborazione delle Regioni, nei cinque anni di governo, dovrà essere spesa per intero.

Il problema più rilevante rimane la minore produttività del sud, che causa persistenti svantaggi competitivi. La differenziazione salariale, necessaria in questa fase per attrarre nuovi investimenti, può essere conseguita senza mettere in discussione i contratti nazionali, ma coniugando la decontribuzione dei salari più bassi al decentramento della contrattazione aziendale e territoriale. Nello stesso tempo vanno favorite la mobilità della manodopera e quelle economie di agglomerazione della forza lavoro specializzata che altrove sono state fattori di successo dei sistemi locali.

Il Nord ha tutto da guadagnare dallo sviluppo del Sud, che in pochi anni può dare maggiore respiro al mercato nazionale, aprendolo verso il Mediterraneo, i Balcani, il Medio Oriente. A dispetto di visioni antagonistiche e arcaiche quali quelle propugnate dalla Lega Nord, la distanza che da sempre separa le due Italie si va assottigliando. L’intero Paese ha insomma a portata di mano un’opportunità storica, l’ultima prima dell’allargamento dell’Unione Europea. Un’opportunità che non intendiamo lasciarci sfuggire.

Una vita di qualità per gli italiani

Fin qui abbiamo descritto un grande obiettivo, il raggiungimento di un’occupazione soddisfacente per tutti. Ma la nostra politica ne ha almeno un altro, forse anche più importante, benché meno immediatamente definibile: migliorare effettivamente la qualità della vita di tutti i giorni. Niente di più e niente di meno di ciò che spetta a una nazione che proprio per la civiltà, la tolleranza, la bellezza delle arti e della natura è da sempre conosciuta nel mondo.

Pensiamo insomma a un nuovo paesaggio italiano, da costruire su quattro fondamenta:
1) la sicurezza;
2) l’ambiente;
3) la mobilità;
4) il federalismo leggero e i servizi.

 

1) Sicurezza e legalità
        Sorvegliare, punire, reinserire

Tutti gli indicatori recenti dimostrano come l’opera di prevenzione e repressione del crimine, organizzato e non, sia oggi più energica ed efficace. Eppure, la domanda di sicurezza è una delle istanze più radicate nel paese. Indubbiamente, la microcriminalità diffusa e l’immigrazione clandestina pongono problemi rilevanti, e nuovi. Di cui il centrodestra si serve irresponsabilmente per agitare, di fronte all’opinione pubblica, fantasmi inquietanti – salvo assumere spesso, in Parlamento, posizioni per scardinare il funzionamento della giustizia. Il diritto alla sicurezza è oggi un diritto di cittadinanza. Noi vogliamo essere severi con il crimine e decisi a rimuovere le cause del crimine.

Intendiamo combattere l’immigrazione clandestina, anche tramite controlli alle frontiere da attuare attraverso nuove forme di collaborazione con le forze di polizia degli altri paesi europei: configurarla come reato servirebbe solo ad allungare le procedure di espulsione, che devono invece diventare immediate per chiunque abbia commesso reati minori, da scontare nel paese di origine.

L’esigenza di una maggiore protezione dell’incolumità personale va assolutamente soddisfatta, aumentando il controllo del territorio con una maggiore presenza in mezzo alla gente delle forze dell’ordine e attraverso nuove forme di coordinamento, come i presìdi di quartiere, realizzati congiuntamente da commissariati di Polizia e stazioni dei Carabinieri. Ma una maggiore garanzia dell’effettiva tutela dei diritti si ottiene soprattutto riorganizzando la giustizia come un servizio per tutti – cittadini italiani e stranieri, parti lese, imputati.

Servono subito più mezzi, più magistrati, e una migliore organizzazione. La durata dei procedimenti va ricondotta entro i limiti ragionevoli sanciti dalla Costituzione. Occorrono poi regole nuove. Nella sfera del diritto civile, va ridotta l’area di intervento dei giudici, risolvendo un numero crescente di controversie in sede extragiudiziale. Per quanto invece riguarda il diritto penale, va ridotta al 50% l’attuale durata del processo e vanno garantite la centralità al primo grado di giudizio e l’esecutività della sentenza in appello quando venga confermata la condanna. A garanzia della propria autorevolezza, la Cassazione deve attenersi a una stretta funzione di legittimità. Inoltre, anziché disegnare sanzioni in astratto più severe, va assicurata la certezza della pena, limitando i benefici penitenziali per chi ha commesso i reati più efferati e prevedendo, per i reati minori, una gamma di misure alternative al carcere.

2) L’ambiente come risorsa
        Verso un nuovo paesaggio italiano

Il territorio, le opere d’arte, le città sono le radici della nostra identità e della nostra cultura. Ma sono anche il nostro futuro. Per questo la nostra agenda diventa, qui, molto complessa e ricca, dovendo al tempo stesso rispondere a emergenze spesso drammatiche - a cominciare dai cambiamenti climatici - e assicurare un forte slancio progettuale. La quantità e la qualità di ciò che dobbiamo intraprendere - il recupero del degrado ambientale e del dissesto idrogeologico, la lotta agli usi illegali o impropri del territorio, l’ammodernamento della rete infrastrutturale, la riqualificazione dei centri storici - ci incoraggiano ad avviare un grande programma di ricostruzione del nostro bene più prezioso: il paesaggio italiano e il suo patrimonio culturale.

Sono tutte questioni che intendiamo affrontare in un modo estremamente concreto, perseguendo l’idea di sviluppo sostenibile. Lo illustrerò con un solo esempio, quello del piano di riforestazione dell’intera dorsale appenninica. Un grande intervento, che affronta simultaneamente più problemi: l’esigenza di restituire alla penisola un polmone verde danneggiato; l’abbandono delle zone montane, che costituiscono il 50% del nostro territorio con il rischio crescente di dissesti e frane; la scomparsa del pascolo e di importanti attività agricole e artigianali sui prodotti tipici e di qualità; la cancellazione di piccole comunità, civiltà e culture materiali da sempre parte del nostro patrimonio.

E’, ripeto, solo un esempio. Il nostro programma conterrà piani e indirizzi – dall’istituzione di un servizio civile volontario anche per la protezione del territorio a un ampio spettro di sussidi all’imprenditoria "verde" e agli operatori che tengono conto, già nella progettazione, della valutazione dell’impatto ambientale.

Un capitolo importante sarà dedicato alla sicurezza del lavoro e sul lavoro e a quella ambientale: dai rischi naturali fino agli incidenti stradali. La tutela dell’ambiente è anche indissolubilmente legata al tema della qualità e della sicurezza di ciò che mangiamo. Si tratta di un problema che va affrontato innanzitutto in sede europea tutelando le produzioni di qualità nazionali e contrastando la diffusione della manipolazione genetica nel settore della produzione alimentare. Bisogna puntare con decisione su un’agricoltura che trovi nella qualità il suo principale valore aggiunto e che sappia coniugare la ricchezza delle tradizioni con la forza dell’innovazione.

3) Una nuova mobilità
        L’Italia in rete

Il Paese sconta oggi un grave ritardo infrastrutturale, che ostacola la mobilità di persone, merci e informazioni. In Italia ci si sposta male e si comunica male. Larga parte del territorio rimane da cablare e l’informatizzazione del nostro tessuto produttivo non è ancora compiuta. Entro la fine della legislatura dobbiamo quindi trasformare il nostro territorio in una rete di strade e autostrade informatiche, che colleghino fra loro imprese, amministrazioni, professionisti, centri di ricerca. In tema di trasporti, il nostro obiettivo è completare la struttura portante del sistema dei trasporti d’interesse nazionale lungo le direttrici nord-sud ed est-ovest e nelle aree metropolitane.

Questo programma dovrà realizzare un riequilibrio tra le diverse forme di mobilità potenziando in particolare il trasporto ferroviario e via mare, superare le attuali strozzature della rete autostradale, rafforzare i sistemi di trasporto pubblico metropolitani.

Indico qui solo alcune priorità: per le ferrovie, il raddoppio della Torino-Venezia e della Caserta-Foggia-Bari-Taranto; per la viabilità, il rifacimento della Salerno-Reggio Calabria e la rapida attuazione del progetto già concordato per l’ampliamento del tratto appenninico dell’autostrada Bologna-Firenze. Noi presenteremo un elenco delle cose che saremo in grado di realizzare per davvero. Ad esso va aggiunta la piena funzionalità delle autostrade del mare, cioè il collegamento con i principali porti dell’Adriatico e del Tirreno. Un insieme di progetti di grande respiro, che potrà essere realizzato con il concorso o il finanziamento integrale di investitori privati costituendo così il primo, importante banco di prova della partnership fra pubblico e privato. Per renderli realizzabili, sarà necessario rendere più efficienti e semplici le procedure, individuando una precisa responsabilità per la realizzazione delle opere, così da eliminare i conflitti di competenza e gli ostacoli burocratici che rendono oggi di fatto lunghissima l’attuazione delle opere pubbliche.

4) Uno Stato leggero e federale
        Uno sportello al servizio dei cittadini

Tutti gli interventi che abbiamo fin qui delineato sono necessari. Nessuno però è sufficiente a migliorare la nostra vita quotidiana senza un buon funzionamento dei servizi e della pubblica amministrazione. Che oggi, nonostante gli indubbi miglioramenti degli ultimi anni, dall’autocertificazione al decentramento amministrativo, hanno ancora standard qualitativi troppo bassi. Chi paga gravemente le inefficienze irrisolte sono innanzitutto le persone più povere e le famiglie in difficoltà. Dalla piena realizzazione della riforma federalista ci si aspetta, giustamente, molto e, in particolare, uno stato più leggero e più vicino ai cittadini. In alcune esperienze italiane, con l’enfasi posta sui sedicenti ‘governatorati’ regionali, al contrario, si tende a dar vita a un modello pesante, che moltiplicherebbe passaggi e vincoli trasferendo su base regionale i difetti del centralismo. Dobbiamo realizzare un federalismo che aiuti la società a realizzare, in autonomia, finalità comuni.

E in questo senso vogliamo applicare la sussidiarietà. L’area di intervento della pubblica amministrazione va ridotta e concentrata sui servizi essenziali. Ove possibile, specialmente per i servizi alla persona, alle famiglie e per la protezione della maternità e dell’infanzia, la gestione, anche di parti di essi, va affidata al privato sociale o alle organizzazioni no-profit. In ogni comune e quartiere è necessario dare vita a progetti per anziani, per utilizzare la loro esperienza e per renderli partecipi alla vita collettiva. Anche in questo campo, come nella scuola, ottenuta la qualità, bisogna controllarla. Per questo proponiamo che tutte le attività sociali, gestite pubblicamente o affidate ai privati, siano sottoposte alla predeterminazione di indicatori di qualità e di efficacia e a una rigorosa certificazione.

Per esempio nella sanità vanno indicati standard sui tempi di attesa di una visita specialistica o di un intervento medico.

Italia, 2006

Tra cinque anni consegneremo agli italiani un paese diverso e migliore rispetto a quello in cui viviamo oggi. Un Paese più libero, più forte e più competitivo. Con meno leggi e meno burocrazia, capace di liberare tutte le risorse che ancora oggi sono poco sfruttate.

Un Paese che combatte esclusione, povertà, discriminazioni di qualsiasi tipo. Un Paese più unito, dal nord al sud, e più civile.

Soprattutto, sarà un Paese nel quale le famiglie possano consegnare ai nostri figli maggiori sicurezze per il futuro, in un ambiente più pulito, con servizi più efficienti.

Nell’Italia del 2006 saranno più forti i diritti e i doveri dei cittadini, e maggiore la loro libertà. A ciascuno verranno garantite le tutele fondamentali, a tutti sarà consentito l’accesso – in primo luogo – ai sistemi di comunicazione, attraverso i quali passano ormai buona parte delle opportunità di lavoro e di crescita, individuale e professionale. L’attuale, anacronistico duopolio televisivo, che distorce e paralizza il mercato dell’informazione, non esisterà più.

Libero di scegliere come informarsi e dove formarsi, l’italiano del 2006 avrà conquistato, nei fatti, quella che oggi appare ancora, a volte, una formula di rito: la cittadinanza europea. L’Italia del 2006 sarà più sicura della propria identità.

E sarà più federale. Fra cinque anni, l’attuale bicameralismo sarà sostituito da un sistema più semplice – con un numero minore di parlamentari – in cui la seconda Camera rappresenterà le istanze delle Regioni, delle Province, dei Comuni. Sarà quindi diversa, l’Italia del 2006. Ma diverso sarà anche lo scenario internazionale.

Restituire alla politica il ruolo che le spetta è oggi la più importante sfida democratica che il mondo si trovi ad affrontare. Una sfida fin qui perduta, almeno a giudicare dall’esito di buona parte dei negoziati internazionali. Una sfida che il nostro Paese deve contribuire a vincere. Lavorando per restituire alle regole commerciali, giuridiche e politiche il loro peso di fronte al predominio della finanza globale. Entrando in un‘Europa sempre più forte e integrata, con una politica estera e di sicurezza comuni. Un’Europa che è la nostra migliore difesa dai meccanismi altrimenti inesorabili della mondializzazione e dai rischi di un futuro senza identità.

Un’Europa che nel 2006 sarà, fino in fondo, la nostra seconda patria.

 

Care concittadine e cari concittadini,

le idee che sottopongo a voi le presento anche al più ampio confronto con i dirigenti e i militanti delle forze politiche che si richiamano all’esperienza unitaria dell’Ulivo e con i protagonisti attivi della società civile. Esse fondano la loro credibilità sui risultati già conseguiti dal 1996 ad oggi.

Quando l’Italia pareva destinata a perdere lo storico appuntamento europeo, l’impegno consapevole di un Paese intero sotto la guida politica credibile e vincente di uomini come Prodi e Ciampi – senza dimenticare l’azione di buongoverno locale di tanti Sindaci, Presidenti di regioni e province ed amministratori locali – hanno confermato che il centrosinistra è capace di mantenere quello che promette, come hanno dimostrato i governi di D’Alema e Amato. Non vendiamo sogni, siamo i garanti del cambiamento. Vi proponiamo un nuovo salto in avanti, non un salto nel buio della Destra.

Ma non intendiamo nascondere che l’azione riformatrice del centrosinistra è stata limitata dagli eccessi di instabilità e di litigiosità da cui è afflitto il nostro sistema politico e a cui noi stessi abbiamo partecipato. La mia candidatura unitaria, espressione di una realtà che valorizza i partiti e che supera le esperienze di parte, rappresenta anch’essa un impegno e una promessa: opererò concretamente per una politica più semplice e pulita, fin dalla formazione delle liste elettorali. Niente più frammentazione, assai meno liste che in passato, in rappresentanza di tutte le nostre culture riformiste, accomunate da candidature capaci di valorizzare l’esperienza e realizzare l’innovazione e l’immissione di forze nuove. Tutto il contrario, quindi, della coalizione conservatrice riproposta per la terza volta agli italiani al comando di un Berlusconi sempre identico a se stesso e affiancato da partiti e partitini dalle idee confuse e profondamente confliggenti fra di loro.

Lungo tutta la sua storia, l’Italia ha trovato nell’esperienza di governo delle forze democratiche la saggezza e la lungimiranza necessarie ad accompagnare i momenti più felici della sua crescita economica e culturale. I prossimi cinque anni saranno di grande crescita: il nuovo Ulivo ne simboleggia la speranza. Noi, donne e uomini dell’Ulivo, siamo pronti a vincere le elezioni e guidare una nuova stagione di forza, responsabilità, giustizia, cambiamento.

Francesco Rutelli

 

      

Elezioni politiche
13 maggio 2001
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