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Roma, 7 dicembre 2001
MORATORIA DELLA SOIA: DALLE PAROLE AI FATTI
La mozione del direttivo dell’Aiab che ha approvato la proposta presentata al Convegno di Roma di settembre
e un’intervista al presidente Vincenzo Vizioli che spiega il significato di questa iniziativa

di Franco Travaglini, pubblicato su "Bioagricultura" n. 74

Il regolamento Ue sulle produzioni biologiche vieta l’uso di organismi geneticamente modificati, lo ha ribadito il Commissario all’agricoltura Fishler di fronte all’ipotesi ventilata di accettare anche per il biologico una soglia di tolleranza dell’1%. "L’agricoltura biologica – ha detto – deve restare esente da OGM, dobbiamo vigilare affinché la produzione biologica non sia contaminata dagli OGM". Eppure le rilevazioni di Aiab/Icea parlano chiaro: il 39% delle analisi su campioni di mangimi sono risultati positivi, cioè inquinati da OGM. Perché? La gran parte della soia utilizzata in zootecnia bio è di origine convenzionale e – sono dati del ministero della Sanità – il 91% dei campioni di soia importata sono risultati positivi, vale a dire con presenza di OGM, al test qualitativo. Questi alcuni dei dati emersi al Convegno svoltosi a Roma a settembre, promosso da Aiab/Icea, Coldiretti, Coop, Federconsumatori e Verdi Ambiente e Società (ne abbiamo riferito ampiamente sul numero 73 di Bioagricultura). In quel convegno Aiab ha presentato per la prima volta la proposta di una "moratoria della soia" cui è seguito, a ottobre, un seminario di studio per approfondire questa proposta e verificarne la fattibilità. (I documenti che sintetizzano il lavoro delle quattro commissioni di lavoro si possono leggere su internet www.aiab.it ).

Con quali conclusioni? "Difficile riassumere in poche parole quello che si è detto in una giornata di intensa discussione – risponde Vincenzo Vizioli, presidente dell’Aiab – di certo il lavoro che è stato fatto ha confermato la gravità della situazione che abbiamo denunciato a settembre, il pericolo di essere messi di fronte a fatti compiuti ("la presenza della soia è ormai inevitabile, quindi dobbiamo accettare una soglia di tolleranza anche per il biologico"), la difficoltà di garantire quell’incompatibilità fra OGM e biologico che al convegno di Roma tutti avevano sostenuto dovesse essere difesa. Ma è emerso anche che la nostra proposta di moratoria, che noi abbiamo indicato come uno degli strumenti per garantire questa incompatibilità, è praticabile. Di qui la mozione discussa e approvata dal direttivo di Aiab alla fine di novembre".

Una preoccupazione che è emersa anche al direttivo è che questa iniziativa penalizzi i produttori, costretti a fare analisi di prodotto che non sono previste dalla normativa e a rischiare di pagare per colpe non proprie.
Io credo che sia vero il contrario, con questa iniziativa noi cerchiamo di tutelare il produttore. La situazione attuale espone i singoli produttori, isolati, alle sanzioni della legge. Perché i Nas quando fanno un’ispezione e trovano OGM dicono "li ho trovati nella tua azienda che è biologica quindi sei fuori legge, poi tu puoi denunciare il mangimificio, ma resta il fatto che tu sei fuori legge". Il fatto è che quando il mangime arriva in allevamento non si può parlare di "inquinamento ambientale", l’allevatore è responsabile di quel che dà da mangiare agli animali e ne risponde direttemente anche di fronte alla legge. Lo stesso vale per l’organismo di controllo. Naturalmente, questa iniziativa da sola non risolve il problema. Credo però sia il modo di sollevarlo con la maggiore forza possibile, anche in vista del decreto applicativo sulla mangimistica in zootecnia biologica, per cercare di impedire di essere messi di fronte a una situazione di fatto in cui si è costretti ad accettare la soglia di tolleranza, che potrebbe essere una bancarotta per il biologico, e, invece, mettere in atto le misure che salvaguardino l’agricoltura e la zootecnia biologica.

C’è chi sostiene che la norma vieta solo l’immissione volontaria di OGM, e chi invece sostiene che non è certificabile anche un prodotto che per "inquinamento ambientale" contiene OGM.
Ci sono due tipi possibili di "inquinamento ambientale": uno riguarda quello che può avvenire sui campi, l’altro quello che può avvenire nei processi di trasformazione. Per quanto riguarda le materie prodotte nel nostro paese, che, lo ricordo, non ha ancora ammesso la coltivazione commerciale di OGM, potrebbe venire solo dai campi sperimentali. Si tratterebbe dunque di un fenomeno molto limitato e facilmente controllabile. A meno che in Italia ci sia un utilizzo di OGM fuori della legge e che sfugge ai controlli delle autorità competenti.
Diverso è il problema dei processi di trasformazione dove esiste un problema di "inquinamento ambientale" dovuto, per esempio, al fatto che, in una linea di lavorazione di mangimi, si lavora un prodotto biologico dopo che ne è stato lavorato uno convenzionale che contiene soia geneticamente modificata. Questo tipo di "inquinamento" non è accettabile perché, a differenza che sui campi, la segregazione anti OGM non è difficile, se la si vuole fare: per esempio attraverso la creazione di linee dedicate. Potrà comportare problemi organizzativi, magari dei costi aggiuntivi, ma si può senz’altro fare.

La normativa prevede solo la certificazione di processo ma cominciano ad essere fatti dei passi sia rafforzare la certificazione di processo sia, al tempo stesso, per immettere elementi di certificazione di prodotto.
La certificazione di processo nel biologico ha avuto da subito qualcosa di anomalo, perché, di fronte a un mercato che identificava biologico con assenza di residui di pesticidi, le analisi sul prodotto finale si sono cominciate a fare molto presto. D’altronde, questo era l’unico modo concreto per identificare e cercare di mettere sotto controllo, non tanto le truffe o le trasgressioni volontarie, quanto la questione dell’inquinamento di fondo o accidentale. Non è ancora cominciata, invece, una discussione approfondita, sulla certificazione di prodotto relativa alle caratteristiche nutrizionali e organolettiche. Se io certifico un olio di oliva extravergine "da agricoltura biologica" devo garantire che sia davvero extravergine anche se, a norma, io debbo garantire solo che le olive provengono da agricoltura biologica, però se quell’olio risulta non essere extravergine comunque ha la mia certificazione e io vengo considerato responsabile. Un segnale preciso in questa direzione l’abbiamo avuto in occasione di una visita dei Nas, relativa agli OGM. Per caso hanno visto sul tavolo delle etichette di olio extravergine certificato biologico da Aiab e, amichevolmente, ci hanno detto "state attenti a far scrivere una cosa del genere perché se poi non è extravergine passate i guai voi e loro, anche se non è vostro compito garantire che sia extravergine".

Nel documento del direttivo si dice che la zootecnia biologica senza soia "è praticabile oltre che auspicabile". Cosa vuol dire?
Secondo la commissione che ha lavorato su questi aspetti a Umbertide, l’auspicabilità di una zootecnia senza soia, dipende da due fattori. Uno è che la soia contiene degli elementi antinutrizionali che ne sconsigliano un uso massiccio come quello attuale. L’altro è che l’introduzione della soia, storicamente, ha modificato l’atteggiamento che gli allevatori avevano verso l’alimentazione degli animali che invece il biologico ripropone perché, avendo un obbligo di 60% di fieno (nei poligastrici) e 40% di granelle, il fieno non può essere più uno zavorrante, tanto poi la soia risolve i problemi proteici. Ragionare sulla rinuncia alla soia aiuta a spostare l’attenzione dalle alchimie per mantenere standard, che sono solo produttivistici, a una gestione aziendale complessa come deve essere quella biologica. Nell’allevamento la prima cosa che deve cambiare è l’atteggiamento verso il processo produttivo. Come per la parte vegetale, passare al biologico non significa sostituire quello che ho usato finora con qualcosa di ammesso. Cambia la gestione della mandria, come gestisco il pascolo, come gestisco l’alimentazione diretta sul campo…

Le scelte che Aiab sta facendo riguardo la soia e ai rischi di inquinamento da OGM si lega dunque alle posizioni tenute nel dibattito sull’applicazione del decreto sulla zootecnia.
Rientra nel quadro di una concezione della zootecnia che non può essere quella che molti auspicano: gli standard produttivi sono quelli, i metodi sono quelli, mi impegno a non trasgredire non metto prodotti non da agricoltura biologica, però non modifico il modello zootecnico. Ma se è vero che noi vogliamo modificare il modello agricolo, nella direzione della gestione del territorio, deve essere chiaro che l’allevamento pensato per un chilo di carne o 20 litri di latte in più al giorno non gestisce il territorio ma crea problemi, perché non è collegato alle produzioni agricole, aziendali o del territorio circostante, con tutti i problemi che questo comporta, compreso quello dello smaltimento delle deiezioni. In questo senso noi poniamo il problema di modificare il ruolo della soia, che è stato fondamentale nell’affermazione della zootecnia intensiva, lo poniamo oggi con tanta più urgenza per via degli Ogm, ma lo porremmo anche se questa "emergenza" non ci fosse. È l’altra faccia dei discorsi su cui tanto insistiamo riguardo al pascolo, alle rotazioni aziendali con proteaginose ecc.

Il modello di zootecnia che tu critichi ha consentito un aumento enorme dei consumi di carne e di altri prodotti di origine animale. Il modello che l’agricoltura biologica propone implica anche un cambiamento delle abitudini alimentari?
La crisi che sta attraversando la zootecnia deve essere un’occasione di rilancio in termini diversi. Se è vero che l’Italia importa il 50% del suo fabbisogno. Ma questo fabbisogno è a misura di un modello alimentare che tutti giudicano inadeguato a conservare la salute, quando non direttamente responsabile di numerose patologie, dall’obesità a vari tipi di tumore. Allora, migliorare la qualità dei prodotti animali e riequilibrare le diete è in sintonia con il modello agricolo che noi proponiamo, perché va nella direzione di ridurre il quantitativo dei prodotti animali garantendone però una qualità migliore. Anche senza cadere nell’autarchia, rilanciare le produzioni nazionali puntando sull’aumento della qualità e la riduzione della quantità, potrebbe avere benefici effetti anche sulla nostra bilancia commerciale, riducendo le importazioni.

Che reazioni ci sono state finora alla proposta di moratoria e che reazioni vi aspettete dopo la decisione del direttivo?
Finora reazioni non ce ne sono state. Io ho presentato la nostra mozione al gruppo tecnico di IFOAM Italia chiedendo di girarla ai soci e di metterla all’ordine del giorno della prossima riunione. Adesso mi aspetto, almeno dai partner che hanno contribuito a questo processo - Coldiretti, Verdi ambiente e Società, Federconsumatori, ecc.-, quanto meno un’azione di supporto a questa nostra iniziativa. Spero, inoltre, che nel mondo del biologico, anche senza condividere le nostre scelte, ci sia la disponibilità a riaprire un dialogo su un problema così grave.

In pratica cosa succederà d’ora in avanti?
Le aziende verranno avvisate di questa scelta, poi il responsabile del sistema di controllo darà indicazione ai tecnici sulle procedure di controllo per verificare che le aziende si adeguino. Questo aprirà probabilmente qualche problema perché chiedere, come fa il nostro documento, di fare controlli anche su prodotti già certificati da altri organismi significa fare qualcosa che Ministero e Sincert non vogliono, vale a dire dubitare dell’operato di un altro organismo di controllo. Ma come si fa a sostenere una cosa simile se con quelle analisi nei mangimi ho trovato OGM che non dovevano esserci? Avrei dovuto farli entrare lo stesso nel ciclo produttivo di un’azienda controllata da me?
Il passaggio fondamentale è dunque informare aziende di questa scelta. Qualche segnale positivo l’abbiamo già avuto, sia da mangimifici che da produttori zootecnici, in particolare quelli che hanno già subito l’intervento dei Nas. Altre aziende non digeriranno molto bene questa iniziativa, l’importante è però fargli capire il suo significato e come devono adeguarsi. Insomma, si tratta di diventare esecutivi nel breve tempo perché non è pensabile che lanciamo la palla poi non succede niente.

Hai ribadito più volte che la moratoria non è risolutiva, cosa intendi dire?
Noi faremo di tutto perché questa posizione venga portata al ministero, perché questo della moratoria è solo un aspetto del piano di interventi necessari per far fronte al problema: piano sementiero, incentivo alla proteaginose, messa a punto di metodiche analitiche più efficaci, adeguamento del sistema di controllo, adeguamento dei mangimifici ecc. Il rischio di inquinamento da OGM è elevato così come è elevato il rischio che veniamo messi di fronte a una situazione di fatto senza possibilità di ritorno, perciò, per applicare la norma che esclude gli OGM dal biologico, da questa azione ci aspettiamo che, da parte del governo e di chi deve vigilare sul nostro operato, ci sia un’azione di tutela del biologico, dunque, almeno, una maggiore vigilanza perché il transgenico non entri fraudolentemente sul territorio e nel biologico. Ci deve essere una presa di posizione chiara sul fatto se noi dobbiamo dire ai consumatori "scusateci, ma non ce la facciamo e non per colpa nostra" oppure se, moltiplicando l’impegno anche delle istituzioni preposte, possiamo dire "siamo in grado di garantirvi che nel biologico gli OGM non entrano". Su questo è da tempo che chiediamo un incontro al ministro Alemanno, il sottosegretario Delfino all’assemblea di Roma ci aveva promesso la creazione di un tavolo di confronto. Restiamo in attesa.

 

      
   

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