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Trento, 16 dicembre 2012
RIFLETTERE SU MEZZO SECOLO DI STORIA DEL CAPOLUOGO
di Sandro Boato
dal Corriere del Trentino di domenica 16 dicembre 2012

Egregio direttore,

interessante ma anche fuorviante la pagina sulla storia del Piano regolatore di Trento dal 1962 (1 oggi, nel «Corriere del Trentino» di giovedì. La lunga vicenda del piano comunale cittadino muoveva i primi passi concreti con l’incarico al professor Plinio Marconi nel 1960, da parte del sindaco Nilo Piccoli, in virtù di una tesi di laurea sul tema.

Poco tempo dopo partiva il lavoro di analisi territoriale e la vera e propria redazione del Piano urbanistico provinciale (Pup), adottato nel 1964 dalla giunta provinciale, quindi votato dal consiglio provinciale all’unanimità nel 1967. Il Comune – tramite gli architetti Alberto Agostini e Sergio Giovanazzi – richiese aiuto per l’adeguamento tecnico-urbanistico del Prg al Pup. Per rendere possibile tale obiettivo nacque l’ufficio urbanistica comunale con due sgobboni (Enzo Mazzucchelli geometra e disegnatore, che conosceva palmo a palmo la Città, e io, architetto e urbanista, comandato dalla Provincia per l’anno 1967).

«Quale città sarebbe oggi Trento se si fosse scelto di attuare il piano-Marconi?» chiede il giornale all’architetto Giuseppe Toffolon di Italia Nostra. «Con le idee di Marconi –  risponde Toffolon –  oggi Trento sarebbe una città più piccola, più compatta, senza le attuali costruzioni sparse qua e là. C’è stata invece la resa del Comune al potere provinciale, il cui modello urbano prevedeva la dispersione della città».

Questa interpretazione non è fondata: il piano-Marconi prevedeva infatti un’espansione residenziale enorme, fino al raddoppio della popolazione da circa 60.000 a più di 120.000 abitanti. La sostanziale assenza del verde pubblico e dei servizi pubblici nonché I’assoluto disinteresse per il centro storico rendevano imbarazzante anche chiamarlo «piano». Non ha senso perciò considerarlo una possibile alternativa, per quante critiche si possano fare al Comune e alla Provincia. Neanche la «dispersione della città» può considerarsi un modello voluto; è stato piuttosto un effetto non governato.

Quanto al primo Pup, esso risentiva dell’ottimismo economicista del boom degli anni Sessanta e del primo governo di centro-sinistra, concausa dell’espansionismo edilizio confermato purtroppo dalla revisione parziale del Prg di Trento che tuttavia non mi vergogno di avere firmato (assieme agli ingegneri Tasin e Gerola), tenuto conto dei limiti imposti dalla stessa Provincia.

Oggi l’urbanistica da dottrina normativa del territorio è divenuta contrattazione senza trasparenza. L’obiettivo da porsi è non occupare nuove aree per l’edilizia per misurarsi con recupero-risanamento-ristrutturazione (le tre «R» del futuro) di spazi e costruzioni preesistenti. Lasciando al passato gli errori del passato.

Sandro Boato

Caro architetto Boato,
non capisco perché definisca fuorviante la pagina che abbiamo dedicato giovedì a una riflessione su mezzo secolo di scelte urbanistiche nel capoluogo. Come avrà visto, con l’articolo di Luca Malossini e con l’intervista all’architetto Toffolon abbiamo aperto un dibattito che si è sviluppato su questo giornale nei giorni seguenti, anche registrando la tesi dell’architetto Giovanazzi. Credo non sia mai opportuno lasciare al passato gli errori del passato: è meglio tenerli sempre presenti per non ripeterli. La ringrazio dunque per il suo contributo: lei ha aggiunto un importante tassello al dibattito che domani pomeriggio vivrà un’altra tappa significativa con il dibattito proposto da Comune e Italia Nostra nella sala di rappresentanza di Palazzo Geremia.
(Enrico Franco - direttore)

      

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