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Trento, 30 aprile 2002
IN DIFESA DELLE ALPI
di Sandro Boato
da l'Adige di martedì 30 aprile 2002

L’ecosistema montano delle Alpi costituisce la più elevata ed estesa catena montuosa d’Europa. Si tratta di una entità fisicamente unitaria, estesa per circa 180.000 kmq sul territorio di otto paesi (Austria 30%, Italia 28%, Francia 20%, Svizzera 15%, Slovenia 4%, Germania 3%, Liechtenstein 0,2%, Monaco (0,001% e di 37 regioni/cantoni/Länder, abitato da una popolazione di circa undici milioni complessivi (3,2 dei quali in Italia).

Le Alpi rappresentano un grande ecosistema in senso lato, con limitate differenze climatiche, ecologiche e culturali, e maggiori differenziazioni economiche.

Sono caratterizzate dalla scarsità del territorio usufruibile permanentemente dall’uomo – tra il 15 e il 20% e da una sensibilità ambientale particolare, che ne fa un bioindicatore di preallarme, un luogo che permette di analizzare in anticipo effetti che si rifletteranno successivamente su aree meno sensibili.

Tre differenti immagini del sistema alpino – determinate dalla popolazione urbana delle pianure - hanno dominato nel corso della storia europea, di cui rappresentano tra i-primi insediamenti umani:

1. Le Alpi come montes horribiles; secondo la cultura prevalente intorno alla nascita di Cristo, greca e romana, con influenza giunta fino al Settecento, questa catena rappresenta il limite settentrionale dell’Europa mediterranea; al di là del quale stanno ignote regioni.di “barbari”;

2. Le Alpi come mondo idilliaco, visione totalmente rovesciata, nata in epoca romantica e diffusa con l'industrializzazione, ad opera di poeti e scrittori, (come Rousseau), musicisti e pittori (tra cui Segantini), ripresa dal turismo alpinistico di élite intorno al 1900 e successivamente per attrarre il turismo di massa;

3. Le Alpi come luogo di disastri naturali e ambientali; immagine nata negli anni ’70, col crescere di scala dei problemi ecologici (e in particolare la frequenza delle alluvioni), di sicurezza del suolo, di inquinamento atmosferico, di regimazione idrica.

C'è anche un quarto, più recente e brutale, punto di vista, se possibile ancora più esterno alle sue caratteristiche ecologiche, sociali ed economiche, ma assai influente in senso negativo: le Alpi come ostacolo allo sviluppo dei paesi confinanti, barriera al libero traffico intereuropeo: da cui una opzione economicista ed antiecologica, verso la moltiplicazione e il potenziamento dei trafori autostradali transalpini.

TRAFFICO E TURISMO NON SOSTENIBILI

È uno dei nodi cruciali da sciogliere per la sopravvivenza umana nelle regioni alpine; per il mantenimento della loro identità paesaggistica e culturale, oltreché geografica, e di una buona qualità della vita, conditio sine qua non anche dell'economia turistica. Tra il 1970 e il 1996 infatti attraversano l'arco alpino interno – tra Moncenisio-Fréjus e Brennero – da 24 milioni di tonnellate di merci (di cui il 79% su rotaia e il 21% su strada) a 85 milioni di tonnellate (di cui solo il 39% su rotaia e il 61% su strada), con un aumento complessivo delle merci del 350%, ma del traffico su strada del 1.070%.

La tendenza, che pare inarrestabile, è favorita da una grave scelta politico-economica: la bassissima tariffa autostradale addebitata ai mezzi pesanti, rispetto al loro costo reale (presumibilmente superiore di sei/sette volte), scaricato sulla finanza pubblica e sul progressivo deterioramento ambientale, pagato quest'ultimo soprattutto dai residenti.

Il movimento verde-ambientalista - ancora troppo isolatamente - e la CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) in particolare pongono alla Unione Europea, ed ai paesi dell’arco alpino, l’obiettivo di spostare il traffico-merci dalla strada alla ferrovia, ma soprattutto di modificare la politica dei trasporti, ridimensionando la deriva delle percorrenze insensate e parassitarie, e applicando tariffe autostradali che corrispondano pienamente ai costi del trasporto-merci, evitando cioè diseconomie esterne.

Una seconda questione cruciale riguarda l'esplosione del turismo, a partire dagli anni 1960, ed in particolare di quello sciistico-invernale meccanizzato. Da un lato, questo nuovo settore economico ha compensato, per alcune aree, l'abbandono sociale dell'insediamento montano: ma non l'abbandono della montagna in senso proprio, della relativa economia e cultura, della speciale civiltà agricolo-alpina, garanzia di conservazione dell'ambiente dal degrado e dall'erosione.

D'altro lato, esso ha dilapidato un patrimonio storico, naturale e paesaggistico-umano, di grande valore, sotto una duplice spinta dell’imprenditoria turistica, prevalentemente extra-regionale, e del coinvolgimento o della resa senza condizioni delle amministrazioni locali e delle corporazioni economiche di settore. Con l’aggravante della insostenibilità anche strettamente finanziaria della maggior parte degli impianti di risalita.

Tra le conseguenze dirette di questo tipo di turismo sono l’espansione dell'edilizia stagionale ("seconde case”), sproporzionata all'insediamento stabile, l'enorme squilibrio tra domanda temporanea di servizi e la popolazione residente, l'incremento del traffico e dell'inquinamento atmosferico ed acustico, la crescita continua del monte-rifiuti annuo (collocato generalmente “altrove”), il consumo idrico fuori-misura, accentuato dalla produzione di neve, artificiale, e l'inquinamento delle sorgenti e delle falde anche in alta quota, il deterioramento paesaggistico delle valli coinvolte e last, but not least, la regressione culturale della popolazione, cointeressata direttamente sul piano economico e indifferente su quello ecologico, i cui figli abbandonano la scuola superiore, attratti dal facile guadagno offerto dal turismo.

VERSO UN SISTEMA DI PARCHI

Neppure le palesi avvisaglie del cambiamento climatico in corso, del surriscaldamento globale innegabile - se solo si rifletta al dimezzamento delle riserve d'acqua dei ghiacciai e all'aumento delle piante sempreverdi in aree dominate precedentemente da caducifoglie – fanno aprire gli occhi alla maggior parte degli operatori turistici della montagna, pronti all’assalto anche dei parchi naturali, per allargare il pascolo da cui traggono profitti. Potrebbe forse risultare determinante il recedente calo delle presenze turistiche, che da un sondaggio in Austria viene attribuito a “sovraffollamento ed eccesso di attrezzature turistiche (9%), insufficiente tutela del paesaggio e della natura (48%).

Il parco e la riserva naturale, particolarmente in questo ambito, rappresentano una scommessa di salvaguardia ecologico-paesaggistica in fase di avanzata, pur se disomogenea, sperimentazione in tutti i paesi alpini, e nel contempo un "biglietto da visita" qualificato, con due facce però: quella del turismo escursionistico e naturalistico compatibile con l'area protetta e quella del richiamo-civetta, comodo anche al turismo di rapina per camuffare e potenziare obiettivi speculativi, parassitari dell’area protetta.

Considerando il limite minimo di 100 ettari, risultano esservi nell'ambito alpino circa 300 -aree protette, con una superficie complessiva di 250 kmq, pari al 14% dell'intero eco-sistema. Se invece ci si limita strettamente ai parchi nazionali e regionali/naturali, la superficie complessiva protetta risulta di 205 kmq, pari all'11% del territorio (cfr. CIPR4, Rapporto sullo stato delle Alpi, Cda, Torino, 1998).

La Regione a statuto speciale Trentíno-Alto Adige/Südtirol (940.000 abitanti), attraverso le Province autonome di Trento e di Bolzano/Bozen, cui spetta la competenza primaria in materia urbanistica ed ecologica, presenta una superficie di aree naturali protette (parchi, riserve, biòtopi) di 2.848 kmq, pari a altre il 20% del territorio (esteso 13.619 kmq): 1.798 kmq, pari al 24,3%, riguardano l'alto Adige/Südtirol e 1.052 kmq, pari al 17%, riguardano il Trentino.

Si tratta di un elemento parziale, ma basilare per uno sviluppo sostenibile, che concilii economia, ambiente e cultura - secondo la Convenzione delle Alpi, un trattato di diritto pubblico internazionale a difesa dell'ecosistema e dei suoi abitanti, nato nei primi anni ‘90 e ratificato da tutti i paesi alpini (ultima l’Italia, nel 2002) -, che cioè, riesca a far convivere la tutela ed il recupero dell'ambiente naturale con le rivendicazioni socio-economiche delle popolazioni socio-economiche delle popolazioni alpine.

Sandro Boato

 

      

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