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Trento, 20 settembre 2003
ANCHE L’ISLAM ALLE RADICI DELL’EUROPA
di Sandro Boato
da l’Adige di sabato 11 ottobre 2003

1
La proposta dell’imàm del Trentino-Alto Adige/Südtirol, Aboulkheir Bréigheche, di introdurre nella scuola regionale e in quella italiana l’insegnamento del Corano ha – al di là dell’obiettivo concreto e condivisibile – il pregio di far discutere sull’Islàm, sulle diverse situazioni che vi si riconoscono, sul rapporto tra religioni e popoli, sulla differenza tra approccio storico-critico e fondamentalismo.

Sconfiggere l’ignoranza della storia è comunque più importante della stessa acquisizione di un testo in sé. Essa fa capire il significato nel tempo dei messaggi contenuti nei tre “libri”, in sequenza: la Torah ebraica (intesa come Antico testamento biblico), il Vangelo di Cristo e gli altri scritti del Nuovo testamento, il Corano, pure considerato dai suoi fedeli di ispirazione divina tramite l’arcangelo Gabriele, e per secoli indissolubilmente legato alla lingua araba. Lo stesso Signore comunque – lo si chiami Jahve, Dio o Allah – è il riferimento delle tre religioni monoteiste.

2
La storia dell’Islàm, del suo nascere con l’égira (l’emigrazione dalla ostile Mecca a Medina nel 622) e con la morte di Maometto/Muhammad (nel 632, ‘riconquistata’ la Mecca), del suo espandersi a partire dall’Arabia, verso oriente fino al confine cinese comprendendo parte dei Balcani, e verso occidente fino a governare tre quarti della penisola iberica e la Sicilia, e del suo affermarsi testimonia per alcuni secoli la civiltà più elevata del mondo conosciuto: dalla matematica alla medicina, dall’urbanistica all’architettura, dalla filosofia alla letteratura.

Per dare una misura del salto di civismo e di conoscenza tra la Spagna islamica (al-Andalús) – e al contempo ebraica e cristiana – nel nono e decimo secolo e il resto d’Europa, María Rosa Menocal, docente di spagnolo e portoghese alla Yale University (Usa), scrive che mentre “la biblioteca del califfato di Córdoba ospitava 400 mila volumi, la più importante della cristianità latina non superava presumibilmente i 400 manoscritti”.

3
La diffusa presenza del libro – con particolare riguardo alla traduzione in arabo del vasto bagaglio della poesia, della filosofia e della scienza dell’età classica, greca, ellenistica e romana – e di Aristotele in particolare – è soltanto uno degli indicatori della straordinaria attrattiva, vitalità e funzionalità della città di Córdoba, capitale di al-Andalús (che abbracciava, oltre all’Andalusìa attuale, gran parte della penisola iberica). Nel film Lawrence d’Arabia, il principe saudita Faisàl rinfaccia agli inglesi ‘amanti del deserto’ “le fontane ed i giardini di Córdoba, e la sua illuminazione notturna, che faceva sfigurare un’Europa settentrionale semibuia”.

Il libro – in cui Menocal racconta con passione e documentazione “un esempio di convivenza pacifica tra musulmani, ebrei e cristiani”, rappresentato da questa città (e da tutto lo stato iberico-islamico), massimo insediamento urbano dell’Islàm, insieme e in concorrenza con Baghdàd – si intitola Principi, poeti e visir (il Saggiatore, 2003), e restituisce agli europei ed agli stessi musulmani di qualunque paese un capitolo straordinario e quasi dimenticato della storia culturale e religiosa dell’area euro-mediterranea.

4
Da un lato, il dispregio verso l’Islàm di Oriana Fallaci, di numerosi integralisti cattolici, di ampia parte del centro-destra italiano e della destra americana ed europea in genere vi troverebbe materia di confutazione atta a svergognare l’ignoranza di ciò che fu. Dall’altro lo integralismo (o fondamentalismo) islamista, a confronto con tale passato, si scontrerebbe con una concezione della tolleranza e della convivenza incompatibile con una ideologia nemica del diverso – antiebraica ed anticristiana – che giustifica la caccia all’infedele.

Il lavoro di Menocal mostra infatti come lo stesso Corano, brandito da alcuni come un’arma contro i ‘non-ortodossi’, abbia permesso l’instaurarsi della dhimma, cioè del rispetto reciproco fra i tre “popoli del libro” nella Spagna medioevale, con scambi culturali costanti, matrimoni misti, collaborazione operativa fino alla presenza di un ministro degli esteri (visír) ebreo, nel X secolo, e di un vescovo cristiano ( che parlava arabo e latino, oltreché il volgare ispanico di quel periodo) nel corpo diplomatico governativo. Citato quest’ultimo da Rosvita, dotta monaca sassone che, sulla testimonianza di lui, scrive una stupefacente descrizione di Córdoba – con settanta biblioteche, 900 bagni pubblici, molte migliaia di negozi, centinaia di moschèe, acquedotti ed acqua corrente, strade lastricate e illuminazione notturna –, definendola “ornamento del mondo”.

5
Come si spiega che una cultura della tolleranza – che produsse straordinarie architetture, giardini e fontane favolose, una regolamentazione delle acque urbane ed agricole mai più raggiunta per sagacia tecnica-ecologica e paesaggistica, raccolte poetiche e novellistica magistrali – vada in pezzi?

La disgregazione dello stato precedentemente unitario, iniziata per responsabilità del fondamentalismo berbero-maghrebino, ebbe il suo acme nei reyes católicos, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, che con l’espulsione dalla Spagna, nel 1492, degli ebrei e dei “mori” – voluta dalla Chiesa romana – misero le basi del fondamentalismo ‘cristiano’ (ma si dovrebbe dire anticristiano) più ipocrita e feroce, della repressione anche degli obbligati a convertirsi, della inquisizione come strumento di governo e di controllo sociale, della successiva conseguente regressione culturale ed economica che renderà per secoli la Spagna un paese al margine dell’Europa.

Ciononostante, secondo Menocal, i contenuti ed i valori profondi dell’esperienza trascorsa in al-Andalús penetrarono e si diffusero ovunque nel continente, per le strade più diverse, comprese quelle della ennesima diaspora ebraica.

6
A conclusione di questi rapidi cenni alla convivenza realizzata in ambito culturale, religioso e politico dall’Islàm in una parte d’Europa, si ricordano due recenti episodi emblematici nell’oriente balcanico, dove il confronto tra mondo islamico e mondo cristiano non va a vantaggio del secondo: il cannoneggiamento e la distruzione del ponte di Mostar, capolavoro dell’architettura rinascimentale turca, da parte delle milizie croate, e quello della biblioteca nazionale di Saraievo, da parte delle milizie serbe, con incenerimento di un milione di libri e di oltre 100 mila manoscritti, nel 1992, in Bosnia-Erzegòvina. L’uno era simbolo rinascimentale della presenza islamica-ottomana nei Balcani; l’altra un monumento alla interferenza e al confronto culturale e religioso tra comunità cristiane-ortodosse, cattoliche, musulmane, ebraiche ed altre. Entrambe testimonianze impareggiabili detestate dall’integralismo di parte cristiana soprattutto.

Quando papa Woityla invoca il riconoscimento ufficiale nella Costituzione europea delle “radici cristiane dell’Europa”, ci si deve chiedere se il frutto di tali radici si trovasse nei libri distrutti in quanto simbolo della convivenza interetnica o nei cannoni purificatori di ogni sconveniente mescolanza.

Sandro Boato

 

      

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