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Trento, 16 novembre 2000
LA DIGA DI VALDA NON SERVE
La Provincia è in mora sulle alternative, dal 1997
Sandro Boato, Aldo Keller, Giorgio Pedrotti

Ancora una volta il presidente della Provincia lancia un proclama unidirezionale su un tema controverso, senza conoscere tutti i termini della questione, senza un confronto neppure telefonico con la "sua" maggioranza, sotto la pressione degli eventi e dello stesso apparato tecnico provinciale, responsabile di un pluriennale ritardo nella "verifica delle alternative" alla diga di Valda – richiesta proprio dal Ministero dell’Ambiente, in sede di Valutazione d’impatto ambientale (VIA), or son tre anni.

La medesima Autorità di Bacino dell’Adige, a metà ottobre, ha parlato del "come ci salveremo dai pericoli dell’Adige" senza più citare la diga di Valda e sottolineando invece attivazioni e realizzazioni recenti per un controllo preventivo ed una gestione idrologica "di sistema", su tutto il bacino del fiume, dalla sorgente alla foce. Fra queste il nuovissimo radar previsionale collegato con gli uffici idrografici di Bolzano e Trento, un modello di propagazione delle piene connesso allo svuotamento dei bacini, l’intensificazione della manutenzione dei corsi d’acqua, l’organizzazione di un piano d’emergenza.

La diga è considerata dai promotori elemento determinante per dare sicurezza alla città di Trento, in caso di alluvioni eccezionali, come quella del 1966, poiché neutralizzerebbe l’apporto idrico del torrente Avisio, il più pericoloso a monte del capoluogo; ma è anche temuta dagli abitanti della Valle di Cembra e di Lavìs, come pericolo incombente sulle loro teste e fattore di distruzione dell’economia e dell’ambiente, in un territorio già provato da tante difficoltà ecologiche (basti pensare alle cave di porfido) e sociali.

Il convegno scientifico sul tema promosso dal Museo Tridentino di Scienze Naturali (11 maggio 1996) ed uno studio di fattibilità – affidato dai sindaci cembrani ai professori di idrologia Giuliano Cannata ed Elio Todini – hanno risposto documentatamente: "No, la diga non serve", delineandone un’alternativa credibile e assai meno costosa, sotto ogni aspetto.
Non è sostenibile anzitutto la proposta della sola diga di Valda, per la sicurezza di un bacino articolato e complesso come quello dell’Adige, quando nel 1974 la Commissione interministeriale De Marchi aveva proposto un sistema di "grandi opere" anche per la provincia di Bolzano (tra cui altre due dighe), nessuna delle quali è stata realizzata.

Per quanto importante e pericoloso, il bacino sotteso dalla diga di Valda rappresenta meno del 10% del bacino dell’Adige a nord di Trento; sorprese e pericoli possono venire anche da altrove. La diga inoltre rappresenta di per sé un pericolo, nel caso di errate manovre sulle paratoie o anche del pur rarissimo, ma non escludibile, collasso.

E’ inoltre dal 1959 che nessun progetto di diga ha più superato positivamente l’esame del bilancio costi-benefici in Italia. Nel caso di Valda, di fronte a una sicurezza insufficente, stanno costi ambientali ingenti (desertificazione di una larga fascia valliva a monte, degrado idrico-ecologico a valle), costi finanziari spropositati, tempi e modalità di esecuzione onerosissimi. Ma soprattutto il progetto non tiene conto delle alternative possibili oggi, a oltre trent’anni dal 1966, essendo assai migliorate le capacità previsionali metereologiche (su modelli idrologici adeguati e con rilevazione diffusa) ed essendosi formata ex novo una conoscenza idrologica ed ecologica di sistema, cioè relazionata a un territorio vasto, quale appunto un intero bacino fluviale.

Sulla base di uno schema di studio e d’intervento riferito a tutto il bacino dell’Adige, dunque, lo studio Cannata-Todini propone un’alternativa complessa, comprendente una serie d’interventi estesi a monte delle confluenze dell’Adige con l’Avisio ed il Noce, coinvolgendo i serbatoi di Stramentizzo e di Santa Giustina, nonché quelli dell’Alto Adige/Südtirol (di cui va parzialmente modificato l’utilizzo, in funzione antialluvionale), la realizzazione di due casse di espansione tra Bronzolo e Trento, computando inoltre l’avvenuto innalzamento degli argini tra Lavìs e Trento (rispetto al 1966).

Non ha senso escludere a priori l’uso eccezionale delle aree golenali del fiume (casse di espansione), sia perché si tratta comunque di una parte limitata del fondovalle, sia perché la diga di Valda non garantirebbe il territorio a nord di Lavìs, sia infine perché tale operazione diventa essenziale e necessaria per tutti i grandi bacini dell’Italia del Nord, in particolare. Da ultimo non è ammissibile che si scarichino le responsabilità e gli oneri da un territorio (Piana Rotaliana) ad un altro (Valle di Cembra), con tanta superficialità e improvvisazione.

Sandro Boato, Aldo Keller, Giorgio Pedrotti

 

      

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