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Trento, 30 settembre 2014
IL CASO DANIZA E LA LICENZA DI UCCIDERE
di Sandro Boato
dal Trentino di martedì 30 settembre 2014

La licenza di uccidere proclamata dal sindaco di Verona, Flavio Tosi, “per legittima difesa dal lupo dei Lessini” (Trentino, 28 settembre), può avere pericolose conseguenze, tra le quali allargare la diffusione delle armi, autorizzate o meno. Ma l’aspetto più preoccupante è l’atteggiamento della Lega: evitare di affrontare i problemi e le situazioni più ardue che riguardano tutti come la convivenza fra umani e lupi, per lanciare la soluzione peggiore con rottura del confronto e ricerca di un facile e viscerale consenso.

L’ordinanza di Tosi echeggia il “caso Daniza”, interpretato scorrettamente a danno dell’orsa, provocata nel suo spazio familiare palesemente violato. Immediato il riflesso di un settore fondamentalista dell’animalismo, che usa un linguaggio scostante e danneggia oggettivamente la parte che pretende di sostenere. Questo nuovo allarme è giunto improvviso, mentre aspettavo ingenuamente “la quiete dopo la tempesta” per ricordare i precedenti dell’operazione Life Ursus, per i più una assenza totale d’informazione.

La vicenda dell’orsa Daniza mi ha riportato dopo tanto tempo a un impegno comune e all’amicizia non comune di Fabio Osti. Tecnico-ecologo che si è dedicato per molti anni alla conoscenza e alla protezione dell’orso bruno, nel Trentino. Fabio non è più; il plantigrado nella sua vita era divenuto un alter ego, di cui sapeva tutto e sul quale aveva compiuto ricerche comparate in ambito europeo, con la guida autorevole dell’ecologo-scienziato svizzero Hans Ulrich Roth, e pubblicato numerosi libri e articoli divulgativi al proposito.

Sul terreno collaboravano con Osti e l’ispettore forestale Vittorio Cattani - entrambi del servizio Parchi della Provincia di Trento - alcuni appassionati volontari, capaci di riconoscere e seguire le più minute tracce dell’orso, di applicare talvolta un radiocollare senza rischiare di ucciderlo, di fornire all’occorrenza di cibo alcune località fuorimano per  gli umani ma non per gli orsi.

C’era un rapporto anche col Wwf e con ambientalisti della Sat: l’obiettivo era la sopravvivenza della specie con mezzi limitatissimi e un accumulo di conoscenze preziose, oggi in parte perdute; occorreva seguire gli ultimi orsi destinati a non lontana estinzione in mancanza di nuovi piccoli, ridotti ormai a poche unità nei primi anni Novanta.

Qui si innesta lucidamente l’operazione Life Ursus: l’obiettivo diventa allora rivivificare la specie localmente, ma anche allargare al sistema alpino e ai Paesi che ne fanno parte un impegno ecologico in controtendenza rispetto alla china disastrosa del degrado ambientale e della cecità degli umani. È questo l’aspetto più impegnativo e difficile da accettare, perché occorre rivedere il nostro rapporto con la terra e con l’economia, oltre che con l’orso e il lupo.

Il caso-Daniza sembra un coup de théâtre uscito da sé, senza autore: l’orsa madre e due piccoli come cuore della specie, il suo emblema. Una intera letteratura faunistica lo pone come misura del rispetto dell’ambiente naturale, della fauna e di questa “sacra famiglia” in particolare. Avvicinarsi ai piccoli vuol dire provocare la paura materna e l’aggressività a loro difesa dell’orsa. Qualcuno viola la norma per fotografare gli orsacchiotti e racconta di un’unghiata ricevuta da dietro. La notizia furoreggia in paese e si trasmette come “liberiamoci dal mostro!”.

L’autorità politica competente condanna l’aggressione: quella dell’orsa o quella dell’uomo? Daniza avverte il rovesciamento della verità e fugge con i figlioletti rendendo nervosi i suoi controllori. Dopo un’attesa angosciosa la sequestrano e le danno la dose sbagliata. Daniza muore ed evita così gli arresti domiciliari e pure il processo.

Concludo osservando che se Daniza fosse stata tanto aggressiva e violenta come la si dipingeva, il signor Maturi ne sarebbe uscito un po’ più malconcio, o non ne sarebbe uscito per niente.

Sandro Boato

      

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