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Trento, 12 maggio 2020
MOBILITÀ POST-PANDEMIA, RISCHIO REGRESSIONE
di Alessandro Franceschini, architetto
dal Trentino di martedì 12 maggio 2020

Come cambierà la mobilità nella fase post-endemica e nel prossimo futuro? Se guardiamo come stiamo reagendo alla crisi sanitaria in cui siamo ancora immersi, il tema della mobilità sembra tra quelli che rischiano, più di tutti, il ritorno al passato.

Eppure questo non rappresenta il modo più lungimirante di pensare alle sfide della mobilità di domani. Passato il picco dell’emergenza sanitaria, il trasporto pubblico sembra destinato a dover pagare con maggior ferocia la riorganizzazione della mobilità collettiva in chiave post-endemica. Corse limitate, posti contingentati, difficoltà all’accesso, lentezza, controlli, distanziamento, senso d’insicurezza. Prendere un mezzo pubblico oggi è complicato quasi come attraversare un campo minato.

E a questo si devono aggiungere altri fattori che mettono in crisi l’utilizzo di treni, autobus e corriere: il brusco calo del costo del petrolio e la conseguente corsa al mezzo privato visto come unica (sicura) alternativa possibile per lo spostamento individuale.

In questa prospettiva inedita, la promozione nell’uso dei mezzi pubblici, su cui tanto si è investito negli ultimi decenni, sta diventando un tema improvvisamente derubricato dall’agenda politica, rischiando di portare le lancette dell’emancipazione della mobilità urbana indietro di cinquant’anni. Eppure oggi più che mai occorre seriamente chiedersi se rilanciare uno strumento obsoleto per la mobilità urbana come il mezzo di trasporto privato mosso dai combustibili fossili sia davvero una plausibile strategia di adattamento per una città e un territorio che stanno faticosamente tentando di riprendere la via dello sviluppo.

La tentazione di tornare alle vecchie abitudini è sempre dietro l’angolo.

Ma non va dimenticato, nel flusso del ragionamento, come l’inquinamento dell’aria abbia creato un humus ideale per l’attecchimento di un virus come il Covid-19 e che la stessa emergenza sanitaria sia figlia di una pressione antropica oramai intollerabile sul sistema ecologico-ambientale, la cui integrità appare oggi più che mai una sfida a cui tendere senza incertezze. Tutto all’incontrario dell’«ab-uso» dell’automobile privata che rappresenta, invece, uno dei fattori che fa precipitare la qualità della vita, dell’aria, dell’ambiente di una città.

Allora che fare? Alcune idee sono già nell’aria e vedono impegnate le amministrazioni comunali nel ripensare i propri servizi. La prima, la più immediata, è quella di incentivare l’uso dei mezzi alternativi all’automobile, fino ad oggi rimasti nel cassetto dei sogni. Biciclette, e-bike e monopattini elettrici possono vivere finalmente il loro momento di gloria – complice l’avvio della bella stagione – a patto, però, che la città sappia individuare spazi adeguati e voglia approfittare di questa bassa pressione veicolare per riorganizzare l’articolazione del sedime stradale, immaginando una rete di percorsi pedonali e ciclabili in sola segnaletica, realizzabili con tempi rapidi e costi ridotti. Il ripensamento dei ritmi della città (evitando le «ora di punta» e distribuendo i flussi su tutta la giornata) sarà un altro importante passaggio che consentirà ai cittadini di utilizzare al meglio i pochi posti disponibili sui mezzi pubblici.

Se questo potrà essere utile nella fase post-endemica che stiamo attraversando in questi giorni, certamente non sarà sufficiente nel medio periodo, per il quale occorre mettere in campo strategie lungimiranti che consentano alla città di rafforzare la propria «resilienza» nel prevenire, eventualmente, nuovi lockdown futuri, facendo tesoro di quanto vissuto negli ultimi due mesi. In particolare occorrerà re-immaginare la struttura stessa dell’«arcipelago» che costituisce la città contemporanea, buttando in soffitta il modello «centripeto» costruito sulla dialettica centro-periferia e optando in maniera convinta su di una città distribuita nello spazio, rafforzando la dotazione di servizi di prossimità anche in periferie e nei sobborghi e facendo in modo che ogni cittadino possa trovare, nel raggio di 15 minuti a piedi, gran parte dei servizi di cui ha bisogno, in termini di occasioni e opportunità.

La mobilità del futuro, insomma, sarà tanto migliore quanto saprà camminare sulle nostre gambe. Una prassi antica eppure, mai come oggi, così «moderna».

 

      
   

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