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Trento, 2 febbraio 2005
SVILUPPO SOSTENIBILE: IL TRENTINO CHE FA?
di Alessandro Francheschini

In Trentino ormai ci si vergogna quasi a pronunciarla. E’ l’abusata espressione, o meglio il binomio, «sviluppo sostenibile» che dopo tanto successo avuto qualche anno fa (peraltro in una accezione puramente teorica) sembra diventata una cosa un po’ retrò, fuori moda.

Per chi se lo fosse dimenticato, lo sviluppo sostenibile è una dimensione del progresso umano che, come recitava il Rapporto Brundtland ormai quasi vent’anni fa, «soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità». Tema quindi attualissimo in un tempo, come il nostro, in cui l’ambiente risulta irrimediabilmente compromesso. Perché rappresenta l’unico modello di progresso possibile. E questo non significa non-sviluppo – beninteso. O stagnazione, o immobilismo. Significa semplicemente orientare tutte le nostre azioni, l’attenzione degli imprenditori, gli interessi delle lobbies economiche, i programmi di crescita verso una dimensione che coniughi in un'unica visione lo sviluppo economico, quello sociale e la conservazione dell’ambiente. Per necessario e doveroso rispetto verso chi abiterà al terra dopo di noi.

La conferenza di Rio del 1992 predispose anche metodi attuativi, che consentono di avviare dei percorsi di sviluppo sostenibile nel proprio territorio. La comunità locale e i diversi portatori di interesse (associazioni, enti, cittadini, imprenditori…) vengono coinvolti attivamente nel definire una strategia di sviluppo locale, basata sulla partecipazione attiva e sul consenso di tutti i gruppi sociali. Purtroppo pochi enti hanno abbracciato queste intenzioni tant’è che il nostro ritmo di sviluppo e le azioni di progresso stanno ancora avanzando secondo logiche ottocentesche come se l’ambiente e le risorse naturali non avessero mai fine e come se tutto il territorio potesse essere antropizzato senza perdere le sue qualità.

La crisi ambientale che stiamo vivendo in questi anni è il sintomo di uno stato di cose che non è più un’eccezione alla regola ma un problema di ordinaria amministrazione. Si crede però di poter risolvere il problema con azioni tampone, con palliativi che oscillano tra il pragmatico e il patetico, tra lo scientifico e il comico. Così come non è più possibile pensare di risolvere il problema delle polveri sottili mettendo le targhe alterne, così è improbabile immaginare che questo nostro stile di vita possa caratterizzarci ancora per molti anni. E’ una questione ampia, generale, che coinvolge tutti gli aspetti del nostro vivere. E i tempi sono maturi per elaborare strategie economiche e tecnologie innovative che devono trovare nell’ente pubblico e nella comunità locale stimoli e interlocutori illuminati.

Lo sviluppo della nostra provincia sta andando in una direzione spesso contraria a quella auspicata nei vari Summit Internazionali. Un esempio? In tutto il territorio provinciale sono state avviate solo quattro azioni di Agenda 21 locale e solo in un solo caso (Riva e Arco) si è arrivato, in qualche modo, alla conclusione del processo e alla redazione di un Piano d’azione. Una grande e problematica città come Trento (dal punto di vista della qualità della vita, dell’inquinamento e dell’ecologia), ad esempio, non ha avviato nessun processo di Agenda 21. Un’opportunità persa che porterà inevitabilmente ad una crescita culturale ritardata.

Per trovare qualche «buona pratica» nel territorio nazionale basta varcare i confini della nostra felice e sensibile provincia: in Veneto, Friuli, Emilia Romagna, e persino nella produttiva e brulicante Lombardia. In quest’ultima regione (se ne è parlato nelle scorse settimane in un convegno a Milano) le politiche per lo sviluppo sostenibile cominciano a essere una cosa seria: basti pensare che sono stati avviati ben 117 processi di Agenda 21 che coinvolgono 230 Enti sparsi su tutto il territorio. I risultati si stanno facendo sentire. Un esempio: la riduzione dell’emissione degli inquinanti nonostante l’aumento del traffico. Frutto di una politica di divieto del gasolio negli impianti di riscaldamento delle abitazioni, incentivi per automobili a Gpl, detassazione sull’Ici per nuove costruzioni efficienti dal punto di vista termico.

Inoltre le politiche della Lombardia hanno dato luogo ad una Rete di Enti locali che vengono coordinati in azioni per la sostenibilità. Interessante notare come la Regione finanzi delle eco-imprese, cioè imprese che hanno come obiettivo quello di creare sviluppo in un ottica di rispetto per l’ambiente. L’amministrazione premia queste aziende con facilitazioni amministrative ed economiche.

Quali sono, allora, le strade che qui in Trentino possono essere perseguite per arrivare al raggiungimento di un progresso sostenibile? Vediamone alcune: anzitutto migliorare la coerenza tra le politiche che dovrebbero essere tutte orientate verso il medesimo obiettivo; poi: dare origine ad opportunità economiche, anche a piccola scala, che creino investimenti nella tecnologia ecologica, coinvolgendo il più possibile i settori privati e la libera imprenditoria; ancora: dissociare la crescita economica dallo sfruttamento delle risorse, sviluppando, ad esempio, progetti di turismo sostenibile sulle nostre montagne.
Inoltre si potrebbe associare l’educazione ambientale giovanile, molto attiva nelle scuole della provincia, a politiche di inserimento nel mondo del lavoro eco-compatibile. Favorendo la nascita di imprese gestite da giovani e sensibili imprenditori. Questo potrebbe portare anche alla formazione di una classe di funzionari, operatori ed imprenditori nuova. Che non vuol dire più povera, ma semplicemente più lungimirante, più sensibile e più durevole.

Alessandro Francheschini

      
   

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