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Trento, 5 aprile 2009
Salviamo le case storiche di Piedicastello
lettera di Luciano Martinello

dal Trentino di domenica 5 aprile 2009

In questi giorni tutti hanno assistito alla denuncia dei disagi, fatta da una donna anziana residente nelle case di Piedicastello gia di proprietà dell’Italcementi e ora della Federazione delle Cooperative e in procinto di essere acquistate dalla Provincia Autonoma di Trento. Assieme alla denuncia l’anziana donna ha avanzato la richiesta, sacrosanta, di sperare di restare nel quartiere dove rimangono vivi i ricordi di una vita vissuta. Sono solidale con la richiesta fatta e credo che sia il modo migliore e giusto per parlare di riqualificazione del quartiere a Piedicastello, mantenendo sul luogo le persone che hanno fatto parte di quella storia. Questa è la situazione e l’aspettativa di altrettante famiglie che risiedono nelle 3 case ex Italcementi rimaste e che non conoscono ancora il loro futuro. Si tratta complessivamente di 11 famiglie residenti nelle case in Lung’Adige San Nicolò n. 4 e in Via Papiria n. 25, formate da persone anziane, giovani, operai o vedove di operai che hanno lavorato nello stabilimento Italcementi. L’incertezza del futuro, accanto ai disagi di convivenza a stretto contatto con i ruderi dello stabilimento in stato degrado, producono nelle famiglie grandi disagi e richiedono una maggiore attenzione non soltanto sotto l’aspetto della vigilanza pubblica.

 La bonifica di parte dello stabilimento da materiali altamente pericolosi come l’amianto, partita in questi giorni è certamente un passo positivo ma non sufficiente ad assicurare le persone residenti. I tempi di attesa per la definizione dei passaggi di proprietà delle aree, lo studio, la progettazione e la realizzazione di opere definitive, non saranno certamente brevi e ciò produce angoscia tra le persone. Qualunque sia il futuro di quella zona e le scelte che saranno fatte, non si potrà, a mio parere, non tenere in considerazione sin da subito e con priorità, il rapporto che le parti proprietarie delle aree dovranno tenere direttamente con le persone che abitano nelle case garantendo loro un’informazione costante sull’evolversi dei lavori, senza venirne a conoscenza attraverso gli organi d’informazione; la manutenzione degli appartamenti abitati e impegnandosi a fare sì che nella nuova progettazione ci siano anche alloggi e garantita la possibilità di rimanere nel quartiere alle famiglie.

Luciano Martinello PIEDICASTELLO

 Le case di Via Papiria e San Nicolò adiacenti all’Italcementi sono le prime case “popolari” del Trentino, le antenate dell’Itea, uno dei vanti sociali dell’autonomia. Vennero costruite - come ricorda Aldo Gorfer nel suo libro-guida “Trento città del Concilio” fra il 1897 e il 1901 dalla Società di Mutuo Soccorso Artieri, per dare alloggio gli operai e alle famiglie lavoratrici delle fabbriche che numerose sorgevano a Piedicastello. Prima dell’Italcementi erano infatti in funzione due fabbriche di chiodi, una fonderia di campane (la Colbacchini, dove venne fusa “MariaDolens”, la campana dei caduti di Rovereto) una scuola di ricamo ed uno stabilimento vinicolo, il famoso “Eller e Mosna”. Non mancava una fabbrica di birra, la Frizzi. Era un sobborgo laborioso Piedicastello, e quelle case, modeste, ma dignitose, tutte con il loro piccolo giardino ed orto, costituirono un grande esempio urbano di solidarietà comunitaria, tanto più preziosa oggi che la crisi finanziaria globale ha mostrato i deleteri effetti della speculazione immobiliare, trasformatasi in rapina sistematica del territorio. Oggi quelle case costituiscono una testimonianza di civiltà e di memoria, posto che la solidarietà cooperativa è il fondamento dell’identità autonomistica trentina. Le case sono tuttora molto più civili e vivibili di tanti alveari condominiali.

Qualsiasi sia il futuro di Piedicastello (e davvero la città si augura che non vi finiscano relegati, in una sorta di ghetto estraneo, gli istituti scolastici, le scuole devono mescolarsi alle attività urbane, ai negozi, al lavoro, alle residenze, non formare una cittadella chiusa) quelle case devono rimanere come testimonianza di un periodo forte del riscatto sociale e anche urbanistico trentino. Cancellarle o “razionalizzarle”, ripetendo le demolizioni operate a Bolzano alle Semirurali, sarebbe imperdonabile. Piedicastello è il nucleo originario della città di Trento. L’auspicio è che le nuove soluzioni di traffico gli restituiscano l’antica vivibilità, dopo il colpo mortale inferto al tessuto umano del sobborgo dall’evacuazione forzata del 4 novembre 1963, quando 122 famiglie per 244 persone furono costrette ad abbandonare le loro case per una ventilata minaccia di caduta massi dal Doss Trento. L’ordinanza comunale fu revocata nel 1965, dopo le opere di risanamento delle pareti rocciose, ma da quell’esodo Piedicastello si sta riprendendo appena ora, dopo quasi mezzo secolo. Piedicastello non può sopportare un altro esodo.

 

      
   

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