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Trento, 25 novembre 2000
Frane e alluvioni:
non sarÀ la diga di Valda a mettere il Trentino in sicurezza

di Giorgio Pedrotti

Nessuno degli eventi franosi o degli allagamenti verificatisi durante questa eccezionale ondata di maltempo possono ragionevolmente essere posti in relazione – diretta o indiretta – con la mancata realizzazione della Diga di Valda, la terza che si vorrebbe costruire sull’Avisio.

La gente ha dovuto abbandonare le abitazioni per frane o smottamenti, o ingrossamento di torrenti e corsi d’acqua, talvolta inesistenti quanto a portata per molti mesi durante l’anno.

Ebbene, malgrado ciò sia di evidenza lapalissiana, ha ripreso fiato il coro dei fautori della Diga di Valda, un’opera che – quand’anche venisse decisa oggi – non diverrebbe operativa prima di una decina d’anni ed assorbirebbe risorse economiche che – inevitabilmente – verrebbero a mancare per quelle opere di manutenzione del territorio – talvolta nemmeno di grande entità – che potrebbero garantire una certa tranquillità anche in situazioni meteorologiche eccezionali, come quella che stiamo attraversando.

All’uso dissennato delle risorse energetiche ed ambientali, vera causa degli attuali disastri, viene illusoriamente contrapposto il mito tecnologico, nella vana speranza che le forze della natura possano essere vinte e controllate dall’uomo. L’illusione di "dominare la natura" contrapposta alla più ecologica, ma realistica, cultura del rispetto del territorio, dei fiumi, delle aree di esondazione, ecc..

E’ in atto un cambiamento del clima ed alle nostre latitudini si verificano fenomeni meteorologici tipici delle fasce tropicali.
Per quanto l’interazione tra la causa naturale e quella antropogenica sia complessa, attualmente gli effetti delle attività umane sul cambiamento del clima si stanno intensificando e stanno assumendo un ruolo preminente. A partire dagli esordi dell’industrializzazione la concentrazione atmosferica di anidride carbonica è aumentata del 30 per cento, quella dell’ossido di azoto del 15 e quella del metano è addirittura raddoppiata. Ironia della sorte, un fenomeno naturale che ha finora contribuito a mantenere sul pianeta le condizioni compatibili con la vita si sta trasformando in un potenziale elemento di squilibrio e di distruzione. Con un nostro cospicuo contributo.

Oltre cento scienziati impegnati nello studio dell’aumento globale della temperatura e dei cambiamenti climatici a esso connessi hanno in questi giorni emesso un verdetto che, per quanto provvisorio, non lascia sperare in nulla di buono. Una prima stesura del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), prospetta un quadro più grave di quello finora delineato: la temperatura globale media della Terra è destinata a salire due volte di più di quanto si era calcolato solo cinque anni fa. L’escursione ora paventata è di 6 gradi rispetto al valore del 1990. Se per caso il valore assoluto non rendesse a sufficienza l’idea del cambiamento in atto, gli scienziati ribadiscono che gli incrementi osservati da vent’anni a questa parte non hanno precedenti negli ultimi 10.000 anni e che i dieci anni più caldi del XX secolo sono concentrati negli ultimi quindici anni.

Se la ricerca delle soluzioni possibili per fronteggiare gli eventi preoccupanti di questi giorni non parte dal riconoscimento di questi elementari dati di fatto, traendone le dovute conseguenze, sono pessimista sulla possibilità di successo. E fra qualche anno rimpiangeremo le illusioni tecnologiche con cui oggi ci trastulliamo ed alle quali ci aggrappiamo.

 

      
   

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