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Trento, 4 ottobre 2003
LA SLOI DI TRENTO COME IL PETROLCHIMICO DI MARGHERA
di Odilia Zotta

Anche Trento e il Trentino hanno avuto la loro fabbrica della morte, la Sloi.

La Sloi è una fabbrica i cui capannoni dismessi sono ancora lì a Trento nord, dove c’è oggi il Centro Commerciale. E’ stata in attività dal 1939 al 1978 (quasi 40 anni); produceva piombo tetraetile, utilizzato come additivo antidetonante della benzina.

Fin dagli anni ’20 una fabbrica americana, la Dupont produceva, in regime di monopolio, piombo tetraetile. Si era scoperto che, addizionando questo prodotto alla benzina, aumentava la resa del motore. Si conosceva anche la pericolosità della produzione tanto che la Dupont ha continuamente modificato la tecnologia, fino a raggiungere la completa automazione.

Negli anni ’30 la Germania e l’Italia si preparano alla guerra. Il piombo tetraetile diventa un prodotto strategico per l’aereonautica militare. Carlo Randaccio, bolognese, amico del gerarca fascista Starace, dopo aver sperimentato la produzione in piccola quantità del piombo tetraetile a Ravenna, costruisce la fabbrica a Trento ed inizia nel 1939 la produzione a livello industriale.

E’ l’unica fabbrica in Europa. Viene scelto il Trentino probabilmente perché vicino alla Germania e lontano dai fronti alleati.

Ancora negli anni ‘39-’40, l’Istituto Case popolari costruì il primo lotto di abitazioni per gli operai, vicino alla fabbrica. Nasce così il quartiere di Cristo Re.

Fin da subito si conosce la pericolosità di questa fabbrica.

Ricordo due episodi:

1. I contadini di Campotrentino si accorgono che i fumi distruggono i raccolti di ciliegie e fanno morire i bachi da seta. Nel 1942, 13 contadini vincono una causa civile e vengono risarciti.

2. Il primario dell’Ospedale Maggiore di Bologna, dott. Savoia che è anche consulente del padrone della Sloi, scrive nel 1942 su una rivista medica: “Forse nessun altro tossico professionale può colpire così diffusamente, insidiosamente ed insieme acutamente le maestranze come il piombo tetraetile. Se si dovessero denunciare tutti i casi lievi e sospetti di intossicazione, in breve gli stabilimenti dovrebbero chiudere i battenti, sospendendo così la loro produzione indispensabile all’aviazione in pace e soprattutto in guerra”. Sempre questo medico arrivò ad utilizzare topi come cavie, ma “non in condizioni artificiali di avvelenamento da laboratorio, bensì nell’ambiente stesso di lavoro, cioè nei reparti di produzione. Attraverso questi esperimenti constatò che in un reparto la tossicità era tale da uccidere gli animali in 36-58 ore”.

Nel 1943, il 50% degli operai vengono denunciati all’INFAIL (Istituto Nazionale Fascista Infortuni sul Lavoro.) per malattia professionale. E sono i casi conclamati di malattia, perché le intossicazioni lievi non vengono denunciate.

Nel dopoguerra la Sloi produce ancora piombo, non più per gli aerei militari, ma per le nostre automobili. Continua ad essere una fabbrica strategica, di esportazione, collegata all’industria petrolifera.

Impossibile dire quanti operai sono passati dalla Sloi. Il turn-over è altissimo; molte lavorazioni dentro la fabbrica sono appaltate a ditte esterne.

Si sa invece come vengono selezionati i nuovi assunti. Il Trentino, negli anni ’50 e ’60 è una provincia povera, agricola; molti contadini aspirano al lavoro nell’industria. Alla Sloi vengono scelte persone giovani, sane e robuste; d’altra parte si può scegliere.

In due momenti gli operai fanno conoscere alla città e alle istituzioni le loro condizioni di lavoro. Fra il dicembre ’64 e il gennaio ’65, un lungo sciopero di due mesi contro il licenziamento di 40 operai per scarso rendimento -ma in realtà perché malati- fallisce per isolamento e per fame. In quell’occasione anche Aldo Moro da Roma aveva tentato inutilmente una mediazione. Il clima interno alla fabbrica è sempre stato particolarmente pesante. Padron Randaccio, anche se il fascismo è finito da più di un ventennio, continua a farsi chiamare Herr Karl.

Il 30 ottobre ’69, in pieno “autunno caldo” (l’autunno cioè delle grandi manifestazioni operaie), un gruppo di operai Sloi si presenta in Regione e incontra l’assessore alla Sanità. Gli operai si presentano con questo slogan: “In ogni litro di benzina c’è un po’ della nostra salute” e lo stesso giorno distribuiscono in città un documento dov’è scritto: “Alla Sloi noi moriamo, perché siamo costretti a lavorare in un ambiente nocivo, lavorando il piombo che attraverso le esalazioni ci fa diventare vecchi e malati a trent’anni”.

Lo stesso giorno viene diffuso un volantino del movimento (forse è una delle prime volte che viene usata a Trento la sigla Lotta Continua) titolato “Alla Sloi si muore”.

Da quel momento la città e le istituzioni non possono più ignorare il dramma di questi lavoratori.

Come risposta, le autorità si incontrano, scrivono documenti, spediscono telegrammi; ma in fabbrica tutto continua come prima.

Il 14 febbraio ’70 il medico di fabbrica Aldo Danieli viene costretto alle dimissioni e denuncia al Servizio Medico Regionale la gravissima situazione: tassi di piombo nel sangue trattati come numeri del lotto.

Pochi mesi dopo, il 10 novembre ’70, anche il nuovo medico di fabbrica Giuseppe De Venuto si dimette con una durissima lettera di denuncia.

In questo periodo incomincio ad interessarmi della Sloi. Mi ero appena laureata in sociologia. Facevo parte del movimento (come quasi tutti gli studenti di questa facoltà in quel momento). Nel 1969-’70 la linea del movimento era quella di uscire dalla scuola e andare nei quartieri, davanti alle fabbriche, per conoscere il territorio. Si diceva: “la sociologia non si studia solo sui libri”.

Facevo “lavoro politico” (questa è l’espressione colla quale veniva definito il “volontariato” di quegli anni) nel comitato di quartiere di S. Pietro, sede anche del Soccorso Rosso (avvocati e studenti che seguivano i processi; gli avvocati facevano difese gratuite e noi facevamo una sorta di segretaria).

Dopo le dimissioni di De Venuto, la Procura della Repubblica di Trento è costretta ad aprire un’inchiesta.

La associazione Pro Cultura organizza un dibattito pubblico. In una sala strapiena, intervengono operai Sloi, sindacalisti, medici, avvocati, studenti. Le denuncie sono violentissime. Ne ricordo due:

Il prof. Reggiani dell’università di Padova racconta dei casi di delirio, demenza, pazzia, di distruzione del sistema nervoso, dei quali, come medico, è stato testimone. “Le corsie (dell’Istituto di Medicina del Lavoro di Padova) sono sempre piene di operai della Sloi; non c’è in tutto il Veneto una situazione sanitaria così grave, così preoccupante”.

Uno studente di sociologia dice: “So di certo che un esperto militare straniero ha chiesto dati in vista di una eventuale utilizzazione del piombo tetraetile in caso di guerra chimica. La struttura aziendale è quella dei campi di concentramento, il disinteresse della popolazione è lo stesso che si aveva per i ghetti degli ebrei”.

L’avvocato Canestrini, quella stessa sera, sottolinea “la necessità di far costituire parte civile gli operai intossicati e i familiari delle vittime”.

In quel periodo ho incontrato molti familiari di operai morti, proponendo loro la costituzione di parte civile. Ho un ricordo vivo di quegli incontri. Mi presentavo a casa loro e suonavo. Non era facile entrare, perché la diffidenza era enorme. Ma quando le mogli, le madri ti accoglievano in cucina, sentivo storie incredibili: raccoglievo lo sfogo di queste donne che nessuno della fabbrica o delle istituzioni aveva mai cercato, che portavano dentro di sé la sofferenza non solo del lutto, ma anche dell’imbroglio e della menzogna subite.

Un esempio per tutti: Silvana Andreatta di Pinè, vedova di Giuliano Venturini. Ha 29 anni quando muore il marito, nel 1968, e resta sola con due bambini. Il marito era stato assunto alla Sloi da poco. Era stato licenziato per insubordinazione, perché, con un altro operaio, si era rifiutato di compiere un lavoro pericoloso (entrare nei fusti del piombo per pulirli manualmente). Ma lui aveva bisogno di lavorare. Ha chiesto scusa alla direzione, ottenendo l’annullamento del licenziamento. Dopo qualche mese viene ricoverato al manicomio di Pergine e in pochi giorni muore. La moglie mi ha fatto vedere il certificato di morte, dove c’era scritto “morto per etilismo”. Ma Giuliano era astemio.

Potrei raccontare molte altre storie drammatiche.

All’inizio del 1971 si costituiscono le prime parti civili. Questo passo fa molta paura alla Sloi. Il 1971 è l’anno delle bombe a Trento. Anche la sede del nostro comitato di quartiere viene colpita con quattro bombe incendiarie, presumibilmente di matrice fascista.

La Magistratura ordina delle perizie mediche sul tasso di piombo nel sangue di tutti gli operai e di un campione di abitanti del quartiere di Cristo Re e rilevazioni sull’inquinamento dentro e fuori la fabbrica. I dati raccolti dal Laboratorio d’igiene denunciano livelli di intossicazione e di inquinamento impressionanti.

Bisogna intervenire, ma c’è un palleggiamento vergognoso di responsabilità. Finalmente, il 2 luglio ’71, il Procuratore della Repubblica Agostini ordina la chiusura della fabbrica. Segue l’occupazione della fabbrica da parte di un gruppo di operai (che temono di perdere il lavoro) e impiegati venuti da Bologna, con l’assedio alla casa di Agostini.

Il fascicolo scotta. Agostini lo passa di mano.

Dopo qualche giorno, c’è già l’ordine di riapertura a titolo di prova per fare una superperizia: in realtà la produzione del piombo continua per anni ancora.

L’indagine giudiziaria, partita con le dimissioni di De Venuto nel ’70, solo dopo 5 anni (il primo processo Sloi è del ’75) arriverà al primo dibattimento. Nel frattempo, con un’operazione che ha visto connivente anche qualche avvocato della difesa, le parti civili sono state tutte risarcite con qualche milione ed estromesse dal processo.

Due ex-operai e tre familiari sono stati sentiti come testimoni Brevissime però le testimonianze soprattutto dei familiari . Silvana Andreatta ha dichiarato: “Sono stata tacitata e risarcita. A 29 anni sono rimasta sola con due bambini, uno di 7 e l’altro di 18 mesi. La vita di un uomo non ha prezzo”. Le è stato detto: “Lei può andare a casa tranquilla” e la donna si è allontanata piangendo.

Paolina Fedrizzi, madre di Sergio Righetto: “Mio figlio aveva 23 anni quando è morto. Dopo 14 anni mi hanno dato 3 milioni. Adesso mi dichiaro pentita di avere preso quel denaro, ma l’avvocato Ravagni mi ha detto che, se non firmavo, non prendevo più niente”.

Parla solo un minuto la terza vedova. Si chiama Lidia Chiogna, suo marito era Vincenzo Nardelli: “A me e a mio figlio –ha detto- hanno dato 3 milioni”. Vincenzo era morto nel 1964, dopo poco più di un mese dall’assunzione e due soli giorni di ricovero in ospedale. Dall’autopsia risultava un’intossicazione acuta da piombo tetraetile. Seguì un’inchiesta giudiziaria e un’assoluzione in istruttoria del direttore della fabbrica e dell’addetto alla maunutenzione delle maschere antigas, perché “appare plausibile che l’evento sia in effetti dovuto ad una indebita manomissione della maschera da parte dello stesso Nardelli”. La moglie, oltre a raccontarmi che il marito aveva ben conosciuto le maschere antigas durante la guerra, mi aveva anche riferito un episodio inquietante: subito dopo il decesso, un impiegato della Sloi era andato a casa per ritirare la chiave dell’armadietto personale.

Il primo processo si chiude con due condanne lievi (per Randaccio e un direttore) e l’assoluzione dell’altro direttore.

Nel ’78 c’è un secondo processo riguardante l’infortunio di un operaio. Due sono gli imputati: Randaccio viene condannato (anche questa volta con una condanna lieve) e il direttore assolto.

Ultimo atto: l’incidente del 14 luglio ’78. Un temporale estivo: l’acqua di stravento entra in un capannone della Sloi dove sono depositati 2-300 quintali di sodio. L’acqua, a contatto col sodio, scatena una reazione chimica violenta: scoppia il sodio e dallo stabilimento esce una palla di fuoco coperta da una nube che avanza verso la città. E’ notte e dalle case di Cristo Re la gente esce in pigiama e scappa. Se le fiamme raggiungono il piombo, è una catastrofe. Lo Alto Adige, il giorno dopo, titola: “Rischio nella notte: Trento un enorme cimitero per 100000 persone”.

Il 18 luglio il sindaco Tononi ordina la chiusura.

Nel 1981 il Consiglio Provinciale approva una legge, proposta da Sandro Boato (Nuova Sinistra), colla quale viene riconosciuta un’indennità speciale agli operai della Sloi.

Notizie recenti. La Sloi fa causa al Comune e chiede un risarcimento miliardario dei danni (mi sembra, 40 miliardi), vince la causa in primo e secondo grado, ma la perde successivamente in Cassazione.

Solo ora incredibilmente (forse dopo la sentenza della Cassazione) il Comune chiede, a sua volta, il risarcimento dei danni, che però viene respinto, perché è passato troppo tempo. Doveva svegliarsi prima.

La Sloi ha lasciato comunque in regalo alla città: un inquinamento profondo anche del suolo, con pericolo per le falde acquifere. Essa rimane dunque un incubo nella città.

Odillia Zotta

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Nota: cfr., in particolare, Aa.Vv., Sloi: incubo nella città, due volumi (492 pagine), Uct, Trento, 1978.

 

      
   

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