Roberto Bombarda - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||||||||||||||
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Trento, 21 ottobre 2011 La stampa locale racconta, con rilievo nelle cronache trentine, l’episodio di bracconaggio verificatosi l’11 ottobre scorso nella riserva di Trento est (loc. Maranza). Due cacciatori/bracconieri hanno ucciso una femmina di capriolo, benché si trattasse di un giorno di silenzio venatorio e non fosse consentito comunque il prelievo del capo essendo stati abbattuti tutti i capi assegnati alla riserva Trento est. L’episodio è avvenuto nei pressi del rifugio Maranza, luogo assai frequentato anche da persone che nulla hanno a che vedere con la caccia. Sembra che la femmina di capriolo uccisa avesse l’abitudine di mostrarsi nel prato antistante il rifugio, dimostrando di non temere i turisti e gli abituali frequentatori. Del fatto ne dà notizia anche un comunicato dell’Ufficio stampa della Giunta del 18 ottobre (una settimana dopo l’episodio!) che considera anche altri tre casi di bracconaggio – tutti addebitabili a cacciatori – nelle riserve rispettivamente di Giustino-Massimeno (8 ottobre), nell’Azienda faunistica venatoria Spinale (12 ottobre) e nella riserva di Rabbi (14 ottobre). Negli ultimi tre casi sono stati abbattuti dei galli forcelli, specie assai tutelata in quanto a rischio di estinzione. In Trentino il prelievo venatorio del gallo forcello è purtroppo consentito sia pur per un numero limitato di capi, non tenendo conto del parere delle associazioni protezionistiche che da molti anni hanno lanciato l’allarme sulla reale consistenza della specie e sul rischio che possa scomparire definitivamente. Pur dando atto dell’encomiabile lavoro svolto dal Corpo forestale nella repressione del bracconaggio, è evidente che anche per i reati venatori valgono le considerazioni che si fanno per gli altri reati, vale a dire che quelli accertati e puniti sono una minima parte rispetto a quelli effettivamente commessi; e ciò è particolarmente vero proprio per reati che vengono considerati “minori” nel grado di percezione del cittadino medio. Ne consegue che – per quanto riguarda il prelievo venatorio – si può tranquillamente affermare che finita la caccia legale, quella regolata dai giorni di caccia ammessi, dal numero di capi assegnati, incomincia o continua quella illegale. Si ritiene, forse con eccessivo ottimismo, che i censimenti della fauna costituiscano comunque uno strumento che consente di valutare lo stato di salute del patrimonio faunistico (consistenza numerica, qualità dei capi, ecc.), ma recentemente sono state sollevate molte obiezioni sul modo in cui i censimenti vengono fatti, e dunque qualche dubbio è legittimo sull’efficacia dello strumento. Negli ultimi quindici anni, allargando progressivamente le maglie dei controlli e delle sanzioni e investendo sempre più sul coinvolgimento diretto dei cacciatori nella gestione della fauna, ridimensionando invece quello delle Associazioni protezionistiche, l’Amministrazione provinciale ha voluto credere – investendo anche consistenti risorse finanziarie - nella capacità di autogestione dei cacciatori, nel loro senso di responsabilità, nell’accettazione da parte loro di un sistema venatorio improntato a regole di condotta e di gestione rigorose e scientificamente corrette. Purtroppo gli episodi segnalati – punta di un iceberg di dimensioni sicuramente più grandi di quanto si stimi – dimostrano che l’ansia e la cupidigia predatoria siano ancora radicati, mentre dovrebbe prevalere nella categoria il senso di responsabilità, la consapevolezza di gestire un “bene comune” e non un “bene privato dei cacciatori”. Lo dimostrano non solo gli episodi di bracconaggio che vengono alla luce sempre con maggior frequenza, ma la constatazione che quando il bracconiere viene individuato si scopre che non si tratta in genere di uno che va a caccia non curandosi del “sistema caccia” (vale a dire dell’organizzazione complessiva fatta di associazioni, regole, tasse), ma di un cacciatore regolarmente tesserato, che semplicemente considera la fauna selvatica “cosa propria” o, semmai, “di nessuno”. Potrei anche ricordare il disagio che emerge fra la categoria delle guardie venatorie dipendenti dalle Associazioni dei cacciatori. Non intendo certo fare di ogni erba un fascio, né affermare che ogni cacciatore è un bracconiere. Così come non intendo mettere in discussione il principio che la responsabilità penale è sempre personale. Gli episodi segnalati (ed i molti che non sono rilevati) dimostrano che i cacciatori, da soli, non sono in grado di arginare il fenomeno del bracconaggio, togliendo definitivamente dal cesto le mele marce. Manca la consapevolezza che il patrimonio faunistico è un bene comune e non di pochi. Che ciò che viene loro concesso (uccidere un certo numero di capi) è un privilegio, non un diritto inalienabile o incomprimibile. Chi ha la responsabilità di salvaguardare i beni comuni, anche di fronte alle generazioni future (e fra i beni comuni rientra a buon diritto anche il patrimonio faunistico), dovrebbe incominciare a prendere atto di quanto sta realmente accadendo. Se in sei giorni vengono accertati ben quattro gravi episodi di bracconaggio (ed in uno di questi si è sparato in prossimità di un luogo pubblico di ristoro, incuranti dei rischi per le persone) è evidente che qualcosa non funziona. Anche chi in questi anni è stato e continua ad essere di “manica larga” con i cacciatori (anche con quelli che commettono illeciti) dovrebbe finalmente rendersi conto - se vuole essere ritenuto in buona fede - che il “patto” fra Amministrazione pubblica e cacciatori se non si è spezzato è fortemente incrinato. E dunque qualche credibile rimedio va posto in atto, e con una certa urgenza e severità. Tutto ciò premesso interrogo il Presidente della Provincia per sapere: ─ quale valutazione dia degli episodi segnalati in premessa, con particolare riferimento – a me sembra – al venir meno della leale collaborazione fra Amministrazione pubblica che deve tutelare l’interesse generale ed il mondo associazionistico-venatorio che non sembra in grado di porre in atto azioni di deterrenza sufficientemente credibili e tali da “sconsigliare” i propri associati dal compiere azioni contrarie alle leggi (in primis quella penale) ed ai regolamenti amministrativi-gestionali; ─ se non ritenga opportuno – al di là degli aspetti di competenza dell’autorità giudiziaria – di applicare le sanzioni amministrative previste con il massimo rigore, proprio in considerazione del dilagare del fenomeno del bracconaggio e del prelievo illegale di selvaggina; ─ se intenda prospettare al Questore – nei casi in cui emerga un disinvolto uso delle armi da fuoco non rispettando le fasce di rispetto, dalle strade e dalle abitazioni, i giorni di silenzio venatorio ed in genere elementari norme di condotta prudente – l’opportunità di ritiro permanente del porto d’armi. Cons. Roberto Bombarda |
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